/**/ Associazione Culturale e Sportiva "Giuseppe Garibaldi": marzo 2012

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sabato 31 marzo 2012

Barcellona P.G. – Piazzetta dedicata al Sac. Giuseppe Levita


Il 28 marzo 1990 tornava alla Casa del Padre l’indimenticabile servo di Dio, il Sacerdote  don Giuseppe Levita. Nel ventiduesimo anniversario della sua dipartita è stata a lui dedicata la piazzetta antistante la Chiesa monumentale di San Giovanni Battista, in Barcellona Pozzo di Gotto, nella quale operò per quarant’anni, a partire proprio dal 1950. E così, alla presenza del Sindaco della città, Candeloro Nania, e dei parroci don Tindaro Iannello che lo sostituì per un altro ventennio e dell’attuale reggente di san Giovanni, don Giuseppe Turrisi, si è svolta la cerimonia di intitolazione di “Largo sacerdote Levita”, con un commosso Domenico Levita, fratello del sacerdote, che ha scoperto la lapide che ricorda questo sacerdote vicino alla gente e dal cuore grande e ricco di umiltà, che fu anche Vicario foraneo, occupandosi di ben 17 parrocchie per ben 11 anni. Un grande sacerdote e un uomo di grande spessore che rimarrà sempre nei cuori di chi lo conobbe e ne apprezzò le doti.

Italia prima e dopo l'Unità


La pace e i trattati di Vienna del 1814-15 obbedirono solo in parte, per quel che riguarda l'Italia, a un criterio di Restaurazione. Scomparvero infatti le due antiche Repubbliche di Genova (comprendente la Liguria) e di Venezia (comprendente il Veneto), inglobate rispettivamente nel Regno di Sardegna e nel Lombardo-Veneto austriaco; il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla fu assegnato in godimento personale a Maria Luisa d'Asburgo, moglie di Napoleone, e a lei rimase fino alla sua morte (1847), allorché passò a Carlo Ludovico di Borbone Parma, cui era stato provvisoriamente dato il Ducato di Lucca, a sua volta annesso nel 1847 al Granducato di Toscana.La geografia politica dell'Italia nel 1848 riproduce quella decisa nel Trattato di Vienna, salvo alcuni piccoli mutamenti dinastici riguardanti il Ducato di Parma, che cedette Guastalla al Ducato di Modena, e il Ducato di Massa e Carrara, che nel 1829 era passato sempre al Ducato di Modena.Il nucleo forte del processo di unificazione si compie nel biennio ‘59-'60 con una prima tappa che vede la cessione al Regno sardo della Lombardia austriaca, poi l'insurrezione e la conseguente annessione delle Legazioni Bologna e Emilia, del Granducato di Toscana, del Ducato di Modena, di Parma e Piacenza, e una seconda tappa che vede, prima, la conquista e l'annessione del Regno delle Due Sicilie grazie alla spedizione dei Mille e,inseguito,l'occupazionedapartedell'esercitosardopiemontesedelleMarcheedell'Umbria.Contemporaneamente, in adempimento degli accordi di Plombières, il Piemonte cedeva alla Francia Nizza e la Savoia.Nel 1866 si completò l'espulsione del dominio austriaco dalla penisola italiana in seguito alla terza guerra di indipendenza, che registrò le poco brillanti prestazioni dell'esercito italiano ma la decisiva vittoria dei prussiani suoi alleati che ottennero da Vienna il Veneto, poi ceduto all'Italia.Il 20 settembre 1870 ebbe termine il dominio temporale del papa, che da un decennio si era ormai ridotto solo al Lazio e a Roma, occupata in quella data dalle truppe italiane.

giovedì 29 marzo 2012

La crisi Calabiana


La cosiddetta “crisi Calabiana” fu originata dalla presentazione di un disegno di legge, firmato da Cavour e Rattazzi alla fine del 1854, che prevedeva la soppressione di quegli ordini religiosi che non si dedicassero alla predicazione, all'istruzione o all'assistenza agli infermi.Secondo il progetto, il loro patrimonio sarebbe stato attribuito ad un ente pubblico appositamente istituito, la Cassa ecclesiastica, che, posto sotto il controllo statale, avrebbe provveduto al pagamento delle pensioni per i religiosi delle case soppresse e degli assegni destinati ai parroci poveri, il cui importo era stato fino a quel momento a carico dello Stato.La discussione della legge, interrotta in gennaio per la chiusura del Parlamento in segno di lutto per la morte delle regine Maria Adelaide e Maria Teresa, madre e moglie di Vittorio Emanuele II, riprese il 16 febbraio alla Camera, che approvò il provvedimento il 2 marzo 1855.Nel momento in cui il progetto passò all'esame del Senato, il vescovo di Casale, monsignor Nazari di Calabiana, fu autorizzato dalla Santa Sede ad offrire ufficialmente al governo, a nome dell'episcopato piemontese, la somma necessaria al pagamento delle pensioni per i parroci, in cambio del ritiro della legge.Questa proposta, sostenuta da Vittorio Emanuele II anche in funzione anticavouriana, determinò le immediate dimissioni del gabinetto, che evitò così un voto di sfiducia.Le difficoltà incontrate da Durando nel tentativo di costituire un nuovo ministero, le manifestazioni anticlericali, che si svolsero contestualmente a Torino, e le pressioni esercitate sul re in senso liberale da autorevoli personalità quali La Marmora e d'Azeglio, resero però necessario il ritorno al governo di Cavour, che riuscì così ad infliggere un duro colpo agli ambienti conservatori.Poiché l'intransigenza dei vescovi rese impossibile ogni compromesso, la proposta Calabiana fu lasciata cadere e la legge venne approvata anche dal Senato nel maggio 1855.Con una allocuzione del 26 luglio, Pio IX condannò il provvedimento e scomunicò tutti coloro che lo avevano proposto, approvato ed eseguito; tuttavia autorizzò il clero del Regno di Sardegna ad accettare le pensioni elargite dalla Cassa ecclesiastica.

mercoledì 28 marzo 2012

Sarnico ed Aspromonte


Dopo il successo della spedizione dei Mille del 1860, Giuseppe Garibaldi era diventato il punto di riferimento più importante di tutto lo schieramento democratico italiano, nonostante fosse lacerato al suo interno dalle divisioni in molte correnti e fosse senza un capo riconosciuto.Al tempo stesso era divenuto l'oggetto delle speranze dei democratici dell'Europa orientale che auspicavano una soluzione alle loro rivendicazioni nazionali sulla scia dell'impresa esemplare dei Mille.La convinzione di fondo, diffusa anche in Italia, consisteva nella necessità di una spedizione nei Balcani – sul modello di quella siciliana del 1860 – che avrebbe messo in crisi l'Impero asburgico e avrebbe portato alla proclamazione della repubblica in Prussia.Il governo di Bettino Ricasoli, che era divenuto primo ministro dopo la morte di Cavour, per cercare di ricomporre il conflittuale sistema politico del neonato Regno d'Italia, decise di istituire una Società di tiro a segno nazionale affidandone la presidenza al principe ereditario, futuro Umberto I, e la vicepresidenza al generale Enrico Cialdini e a Garibaldi.Quest'ultimo, ormai attivissimo nella vita politica nazionale, il 9 marzo, assunse anche la presidenza dell'Assemblea delle associazioni democratiche e delle società operaie e, nello stesso mese di marzo, dopo che i garibaldini e i mazziniani erano confluiti nell'Associazione Emancipatrice Italiana che propugnava Roma Capitale, intraprese un lungo itinerario, accolto da un tripudio di folla, nelle principali città del Nord Italia – Monza, Como, Lodi, Parma, Cremona, Pavia, Crema, Brescia – per l'inaugurazione delle locali Società di tiro a segno.Alla conclusione di questo percorso Garibaldi si fermò nella stazione termale di Trescore Balneario, vicino Bergamo, al confine con il Trentino, a casa di Gabriele Camozzi. Il motivo ufficiale consisteva nella cura dei reumatismi ma in realtà alcuni attivisti del Partito d'Azione iniziarono, sin da subito, a raccogliere divise e armi facendo presagire una nuova spedizione di volontari garibaldini, questa volta diretta oltre i confini dell'Impero asburgico.La diplomazia europea si mise immediatamente in allarme, alcuni leader dell'Associazione Emancipatrice si dichiararono contrari ad un'azione rivoluzionaria e Crispi paventò addirittura il rischio che un azione fallimentare contro l'Austria si sarebbe conclusa drammaticamente con lo smembramento del neonato Regno d'Italia.Nonostante ciò, il 14 maggio a Sarnico, sul lago d'Iseo, un centinaio di volontari si riunirono agli ordini di Francesco Nullo e dalla cittadina lacustre iniziarono a marciare verso il confine austriaco. All'altezza di Palazzolo, poco distante da Sarnico, però, l'esercito sardo bloccò immediatamente la marcia e arrestò tutti i volontari – e lo stesso Francesco Nullo –, poi rinchiusi nelle carceri di Bergamo e Brescia. Garibaldi si assunse immediatamente la responsabilità del tentativo insurrezionale e condannò l'azione dell'esercito regio che aveva arrestato i volontari.  Il fallimento della spedizione fece desistere da ogni azione nei Balcani. Tuttavia, dopo essere tornato in un primo momento a Caprera, Garibaldi si imbarcò il 27 giugno per Palermo, ufficialmente per andare a promuovere in Sicilia le Società di tiro a segno come in Lombardia. L'accoglienza a Palermo fu ancora più entusiastica di quella ricevuta nelle città del Nord Italia.Gran parte delle aspettative della popolazione siciliana riguardavano, però, le difficili condizioni economiche dell'isola ma Garibaldi interpretò quell'accoglienza come una spinta per completare l'Unità d'Italia. Durante gli incontri visitò i luoghi siciliani dell'impresa del 1860, lanciò accuse di fuoco contro Napoleone III che, proteggendo il papa, era diventato, secondo Garibaldi, un «capo di briganti» e «d'assassini». Dai numerosi bagni di folla siciliani risuonò, inoltre, il grido “Roma o morte” che, ripreso subito da Garibaldi, suggellò simbolicamente la nuova impresa.Se la stampa garibaldina esaltava l'impresa siciliana comparandola a quella del 1860, Crispi si dimostrò subito contrario alla spedizione che dalla Sicilia sarebbe dovuta risalire fino a Roma, mentre il fronte moderato, seppur contrario, sembrava disorientato di fronte all'evolversi repentino degli avvenimenti.Certamente, però, rispetto all'impresa del 1860 si riscontravano almeno tre grandi assenze: mancavano comandanti esperti come Bixio, Medici, Cosenz e Sirtori diventati ormai ufficiali dell'esercito; scarseggiava l'appoggio dell'opinione pubblica al di fuori della Sicilia e, soprattutto, mancava l'appoggio alla spedizione da parte di uno Stato sovrano. Inoltre, in caso di attacco ai territori dello Stato pontificio, la Francia di Napoleone III avrebbe difeso la Città Eterna con il corpo di truppe che aveva lasciato a protezione del papato.Nonostante queste difficoltà, l'organizzazione della nuova spedizione era ormai partita. A Misterbianco, nei pressi di Catania, il 19 agosto, Garibaldi venne accolto da una folla in delirio, mentre il 24, lanciò un proclama agli italiani accusando il governo di voler la guerra civile.Infine, dopo aver raccolto armi, munizioni e vettovaglie, s'impadronì di due piroscafi, il Dispaccio e il Generale Abbatucci, con i quali, eludendo la sorveglianza, sbarcò la mattina del 25 a Melito, in Calabria, come nel 1860, al comando di circa 2 mila uomini.Il governo italiano, come a Sarnico nel maggio precedente, decise di intervenire prima che le truppe garibaldine avessero passato il confine e inviò il generale Cialdini a fermare Garibaldi. Cialdini, il 26 agosto, si incontrò a Napoli con il generale La Marmora per organizzare un corpo militare che si opponesse agli insorti. Dai numerosi reparti dell'esercito dislocati nel Mezzogiorno continentale venne formata una colonna di 7 battaglioni agli ordini del colonnello Emilio Pallavicini di Priola che si diresse verso la Calabria per bloccare i volontari garibaldini.La risalita della penisola si era rivelata subito ben più difficile del previsto. La città di Reggio Calabria, infatti, era ben presidiata dall'esercito mentre sulla costa i volontari erano stati sorpresi da un bombardamento della flotta regia che li aveva costretti a muoversi nell'entroterra calabro. Garibaldi fu obbligato a risalire verso l'Aspromonte dove, dopo due giorni di marce estenuanti, venne avvistato da alcuni reparti del colonnello Pallavicini.Lo stesso giorno, la mattina del 29 agosto, si svolse un rapido scontro a fuoco nel quale morirono una dozzina di militi, 7 soldati regi e 5 volontari, e si registrarono poco più di trenta feriti, tra cui Giuseppe Garibaldi. Alla notizia che Garibaldi era stato ferito, il combattimento ebbe immediatamente fine.Colpito ad un malleolo, dopo una difficile discesa dall'Aspromonte, venne trasportato dalla pirofregata Duca di Genova nel forte di Varignano, presso La Spezia, un antico lazzaretto e uno stabilimento penitenziario dove venne alloggiato insieme alla famiglia e ai suoi ufficiali.La convalescenza di Garibaldi fu lunghissima perché la ferita al malleolo non si cicatrizzava e solamente a distanza di circa un anno riuscì a riprendere una normale capacità di movimento.

martedì 27 marzo 2012

I movimenti politici » Il socialismo risorgimentale


Il socialismo risorgimentale, di cui Giuseppe Ferrari e Carlo Pisacane possono essere considerati i principali esponenti, non rappresentò una vera e propria corrente politica, ma piuttosto un insieme di posizioni e di contributi teorici maturati all'interno della democrazia italiana, in seguito alla fallita rivoluzione del 1848. La sconfitta del 1848 produsse infatti una riflessione critica all'interno dello schieramento democratico, che si divise sulla valutazione da dare della sconfitta. Le divisioni riguardavano, in realtà, non soltanto i motivi che l'avevano determinata, ma il problema stesso della «rivoluzione italiana» e della strategia da seguire nell'immediato futuroMentre Mazzini riteneva che la linea e il programma d'azione non dovessero essere modificati, vi era chi, in disaccordo con lui, avrebbe voluto collegare la rivoluzione politica a una rivoluzione sociale, come condizione indispensabile per la vittoria. I contributi più ampi e articolati provennero da Giuseppe Ferrari e da Carlo Pisacane i quali, attraverso i loro scritti, ripensarono il problema della «rivoluzione italiana», prospettandone, appunto, la soluzione in chiave socialista.Della democrazia mazziniana Ferrari criticava soprattutto la priorità che la questione dell'indipendenza aveva avuto su quella della libertà. Al contrario, secondo Ferrari, la rivoluzione doveva mirare anzitutto alla libertà. Nei suoi scritti (La Federazione repubblicana e Filosofia della rivoluzione, pubblicati entrambi nel 1851) sosteneva come fosse necessario, per l'Italia, tentare contemporaneamente due rivoluzioni, l'una sul terreno politico e l'altra su quello sociale.La prima avrebbe dovuto liberare il popolo dal dominio straniero e dalle forze della conservazione (che Ferrari individuava nel papato e nelle monarchie); la seconda avrebbe dovuto realizzare un sistema di limitazione della proprietà privata, attraverso l'abolizione dell'eredità perché fonte di ineguaglianza.Per il raggiungimento di tali obiettivi auspicava l'alleanza con la Francia rivoluzionaria e teorizzava la nascita di un partito sociale italiano in grado di sottrarre l'iniziativa politica al mazzinianesimo e di coinvolgere nella lotta le masse popolari.Posizioni analoghe esprimeva Carlo Pisacane nel saggio sulla Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-1849, pubblicato anch'esso nel 1851. Per Pisacane il socialismo non costituiva una generica aspirazione, ma il contenuto che avrebbe dovuto assumere la rivoluzione italiana, nonché la mèta verso cui tendeva il progresso europeo. Anche Pisacane, come Ferrari, muoveva da un atteggiamento critico nei confronti di Mazzini, del quale non condivideva la visione puramente politica della rivoluzione, non in grado di mobilitare le classi popolari.A tal fine auspicava la costituzione di un partito socialista rivoluzionario che avrebbe dovuto realizzare, con l'appoggio delle masse, soprattutto contadine, una rivoluzione di tipo socialista, con lo scopo principale della ridistribuzione delle terre agli stessi contadini.A tali proposte non seguì da parte di Pisacane alcuna concreta iniziativa politica. Nonostante le riserve sul piano teorico, continuò anzi a collaborare con Mazzini, fino alla spedizione di Sapri (1857) in cui trovò la morte.Le idee di Ferrari e di Pisacane costituirono comunque una premessa importante, sulla quale anni dopo il nascente movimento internazionalista, anarchico e poi socialista avrebbe innestato la sua propaganda e la sua diffusione tra le masse italiane.