/**/ Associazione Culturale e Sportiva "Giuseppe Garibaldi": 2017

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giovedì 14 dicembre 2017

“Il conciliatore”

Nasce a Milano “Il conciliatore”
Il programma del “Conciliatore”, la prima rivista italiana di ispirazione patriottica e liberale, viene redatto da Silvio Pellico, Luigi Porro Lambertenghi, Federico Confalonieri, Giovani Berchet, Giandomenico Romagnosi. Il primo numero apparirà il 3 settembre. In ottobre vengono condannati a morte a Roma cinque cospiratori marchigiani. Nasce in dicembre ad Alessandria la Società dei sublimi maestri perfetti, ispirata alle idee comunistiche di Filippo Buonarroti.

domenica 12 novembre 2017

Le figure dei Fratelli Plutino, di Agostino ma soprattutto di Antonino, sono fondamentali per meglio comprendere le modalità con le quali la città di Reggio Calabria ha affrontato il Risorgimento e più tardi l’Unità d’Italia. Non a caso essi sono al centro, in questo 2011, della riflessione e delle ricerche di storici e studiosi del Risorgimento reggino che si orientano soprattutto verso l’opera di Antonino al quale l’Associazione Culturale Anassilaos, nel secondo centenario della nascita (10 dicembre 1811) che si è tenuta presso la Sala di San Giorgio al Corso con la partecipazione del Prof. Franco Arillotta, storico e componente della Deputazione di Storia Patria per la Calabria. Oppositore fin dalla prima ora del regime borbonico fu carbonaro e partecipe e organizzatore dei moti liberali che interessarono la Calabria. Partecipò al moto di Cosenza (1844) in concomitanza dello sbarco dei Fratelli Bandiera; in carcere fino al 1846 fu tra i promotori alla Rivolta di Reggio del 2 settembre 1847. Tornato in patria (1848), fu eletto deputato al parlamento napoletano, e prese parte alla giornata del 15 maggio e all’insurrezione calabrese del giugno. Tale generosa partecipazione al movimento risorgimentale fu dal Plutino scontata con la prigione, la confisca dei beni e, infine, con l’esilio prima a Marsiglia e poi in Piemonte. Da Genova, nel 1860, si unì alla Spedizione dei Mille, segnalandosi a Calatafimi e Milazzo e partecipando alla Battaglia di Piazza Duomo che consegnò Reggio Calabria a Garibaldi da cui fu nominato presidente del Consiglio di guerra e governatore della Provincia. Comincia così uno dei periodi più discussi dell’attività del Plutino che gli provocò non poche rimostranze. Egli infatti epurò l’apparato amministrativo e giudiziario con l’esilio di numerosi reggini tra i quali lo stesso Arcivescovo della Città, Mariano Ricciardi,considerato vicino al regime borbonico. Da prefetto di Catanzaro diede le dimissioni perché costretto a prendere le armi contro il suo amato generale Garibaldi che tentava, ancora una volta dalla Sicilia e dalla Calabria di marciare verso Roma (1862) e venne poco dopo eletto deputato. Morì a Roma il 25 aprile 1872.

giovedì 26 ottobre 2017

I garibaldini di Bandi

A differenza di Giuseppe Cesare Abba e di Alexandre Dumas che tendono a mitizzare l'impresa garibaldina fornendo un'immagine per certi aspetti oleografica del nizzardo e della spedizione partita da Quarto, Giuseppe Bandi nella sua opera I Mille fornisce un'immagine non convenzionale e, in alcuni passaggi, persino anti-eroica di Garibaldi. Le pagine che qui riproduciamo si riferiscono alla battaglia di Calatafimi.

lunedì 21 agosto 2017

Franceschi Ferrucci Caterina

Scrittrice e patriota. Suo padre, Antonio, era stato ministro della Repubblica Romana del 1798-1799. A cinque anni per un incidente perse l'uso di un occhio e, compromesso anche l'altro, rimase cieca per cinque anni.Fu educata allo studio dei classici latini e italiani. Trasferitasi nel 1823 con la famiglia a Macerata, la sua fama di latinista le valse l'apprezzamento di Giacomo Leopardi.A Macerata continuò gli studi da autodidatta, iniziando l'apprendimento del greco. Cominciò presto a essere conosciuta anche come autrice di poesie. Nel 1827 sposò il latinista Michele Ferrucci e con lui si trasferì a Bologna, dove fu invitata all'Accademia dei Felsinei e dove conobbe Pietro Giordani.A Bologna, insieme col marito, che dal 1829 era stato nominato professore all'università, fu coinvolta nei moti del 1831. Nel 1836 la coppia si trasferì a Ginevra, dove Michele aveva ottenuto la cattedra di letteratura latina all'Accademia, anche per intercessione di Cavour.A Ginevra la Franceschi tenne, in lingua francese, corsi liberi di letteratura italiana e lezioni su Dante e la Divina Commedia. Nel 1844 rientrarono in Italia a Pisa, dove Michele Ferrucci fu chiamato ad insegnare archeologia e storia. Negli anni Quaranta, Caterina Franceschi fu fortemente ispirata dalla riflessione filosofica e politica di Vincenzo Gioberti e in particolare dalle sue idee sull'educazione, alla cui divulgazione la Franceschi si dedicò nelle proprie opere.Nel 1848 Carlo Bon Compagni, ministro della Pubblica istruzione del Regno di Sardegna pensò di chiamarla alla direzione dei nuovi collegi nazionali di educazione; le sue dimissioni da ministro, tuttavia, troncarono il progetto. Nel 1848, la famiglia Franceschi Ferrucci prese parte alla mobilitazione politica e militare. Padre e figlio combatterono in Lombardia, la madre scrisse molti articoli per difendere la causa dell'indipendenza italiana. Nell'aprile del 1850, fu chiamata a Genova a dirigere il progettato Istituto italiano di educazione femminile. Nell'ottobre del 1850 la Franceschi pubblicava a Genova un manifesto Alle madri italiane, per far conoscere il collegio, che fu aperto il 15 novembre.Ma già nel gennaio successivo cominciarono i primi dissapori tra la Franceschi e il consiglio dell'Istituto. Vista con sospetto dai clericali per le relative novità del suo programma educativo, era da altri giudicata retriva per la sua decisa presa di posizione contro i democratici, ma, in sostanza, era in causa il concetto giobertiano dell'educazione cui la Franceschi aveva voluto fosse ispirato il collegio. Caterina Franceschi si dimise nel settembre del 1851. Trasferitasi a Firenze, alla fine del 1852 era di nuovo a Pisa.Alla fine degli anni Cinquanta fu duramente colpita dalla morte della figlia Rosa. Nel 1871 l'Accademia della Crusca la nominò membro corrispondente: la prima donna a esservi eletta. Nel novembre 1875, mentre stava concludendo gli Ammaestramenti religiosi e morali, fu colpita da paralisi. Visse ancora molti anni in quell'isolamento che, già congeniale alla sua indole, le era divenuto una necessità dopo la morte della figlia. Dopo la morte del marito, 

mercoledì 9 agosto 2017

La rivoluzione del 1820-1821 a Napoli e in Sicilia


  1. Il successo della rivoluzione in Spagna, dove il 7 marzo 1820 fu reintrodotta la Costituzione di Cadice del 1812, si riverberò con particolare evidenza nel Regno delle due Sicilie, determinando un intenso lavorio tra i carbonari e i militari favorevoli alla Costituzione. Dopo una serie di tentativi falliti sul nascere, nella notte tra il 1° e il 2 luglio 1820, una trentina di carbonari della vendita di Nola, guidati dal prete Luigi Minichini, e 127 sottufficiali e soldati del reggimento di cavalleria Borbone, comandati dal tenente Michele Morelli e dal sottotenente Giuseppe Silvati, diedero inizio ad un moto insurrezionale, dirigendosi verso Avellino.La mattina del 3 luglio Morelli entrò in città e cedette pubblicamente il comando delle forze ribelli al tenente colonnello De Concilj, capo delle truppe locali. Contemporaneamente, le vendite del foggiano, della Calabria, della Basilicata, insieme alle milizie provinciali e alle truppe di linea, insorsero col favore delle popolazioni, rendendo difficoltose le comunicazioni tra Napoli, la Puglia e la Calabria, e condannando così al fallimento l'iniziale tentativo di repressione affidato al generale Carascosa.Nella notte tra il 5 e il 6 luglio, poi, il generale Guglielmo Pepe fece insorgere due reggimenti di cavalleria e uno di fanteria in stanza a Napoli e si diresse verso Avellino, dove la sera del 6 assunse il comando di tutte le forze ribelli.Lo stesso 6 luglio il re Ferdinando I acconsentì alla formazione di un governo costituzionale e nominò il principe ereditario Francesco, duca di Calabria, vicario del Regno.Il 7 luglio, Francesco fu quindi costretto a pubblicare un decreto con cui si adottava nel Regno delle due Sicilie la Costituzione spagnola del 1812, salvo modificazioni eventualmente proposte dalla rappresentanza nazionale. Due giorni dopo, il 9 luglio, le truppe costituzionali fecero quindi il loro trionfale ingresso a Napoli, mentre il 13 Ferdinando I giurò solennemente sulla Costituzione.La rapidità della rivoluzione e il suo facile successo erano certo il segno della fragilità del regime assolutista borbonico, ma celavano anche importanti contraddizioni: da un lato l'assoluta insincerità di Ferdinando I, contrario nel suo intimo ad ogni concessione costituzionale; dall'altro il contrasto tra la carboneria, che aveva dato alla rivoluzione la spinta decisiva, e il gruppo di non più giovani funzionari e ufficiali di orientamento tendenzialmente moderato – che in passato avevano simpatizzato con le idee rivoluzionarie francesi e avevano poi preso parte all'esperienza del Regno di Gioacchino Murat nel Mezzogiorno – che assunse, fin dai primi giorni di luglio, la direzione del nuovo governo.La complessa situazione napoletana fu inoltre aggravata dall'insurrezione di Palermo, scoppiata il 15 e 16 luglio quando in città giunsero le prime notizie della rivoluzione di Napoli. Benché l'ostilità contro il centralismo borbonico accomunasse tutte le classi della popolazione locale, la rivolta fu egemonizzata in un primo momento dalle masse popolari che, protagoniste di episodi di estrema violenza (distruzione degli uffici del bollo e del registro, abbattimento degli stemmi borbonici, liberazione indiscriminata dei detenuti dalle carceri, stragi e saccheggi), si impadronirono della città il 17 luglio, costringendo il generale Naselli, luogotenente del re, ad imbarcarsi per Napoli.Il 18 luglio gli insorti costituirono quindi una Giunta di governo, presieduta dal cardinale Gravina, poi sostituito alcuni giorni dopo dal principe di Villafranca, che inviò a Napoli una missione per chiedere che la Sicilia fosse costituita in un ragno separato.Favorevoli all'indipendenza si dimostrarono però solo le provincie di Palermo e di Girgenti, mentre molte città dell'isola, e in prima linea Catania e Messina, si dichiararono contrarie all'egemonia palermitana e favorevoli, al contrario, al mantenimento del legame con Napoli. Spedizioni di palermitani si diressero quindi contro gli abitanti di Caltanissetta, di Trapani e di Siracusa, ma solo la prima fu coronata dal successo.A questo punto il governo napoletano decise di intervenire, nominando luogotenente del re in Sicilia Antonio Ruffo, principe della Scaletta, ed inviando nell'isola il principe Florestano Pepe, fratello di Guglielmo, alla guida di circa quattromila uomini.Diretto verso Palermo, il 22 settembre Florestano Pepe poté concludere un accordo a Termini Imerese con il principe di Villafranca, accordo che, non accettato dalla  popolazione palermitana, scatenò violenti scontri in città tra rappresentanti delle maestranze, nobiltà e borghesia.Giunto a Palermo il 26 settembre, ma ostacolato dall'aspra resistenza dei ribelli, Pepe si decise a cercare un nuovo accordo, poi firmato il 5 ottobre con il principe di Paternò, nuovo presidente della Giunta municipale: tale accordo venne però annullato dal Parlamento napoletano che, richiamato Pepe a Napoli, inviò nell'isola il generale Pietro Colletta, artefice di lì in avanti di una politica essenzialmente repressiva.Frattanto il 23 ottobre 1820, a Troppau, un congresso delle maggiori potenze sancì, contro il parere di Inghilterra e Francia, il “principio dell'intervento”, che avrebbe permesso all'Austria di agire a Napoli in nome della Santa alleanza; Austria, Russia e Prussia scelsero in ogni caso di invitare Ferdinando I a Lubiana, al congresso che si sarebbe svolto nel gennaio 1821, per tentare di risolvere collegialmente la questione napoletana.Ricevuta nel dicembre l'autorizzazione del Parlamento a lasciare Napoli, a condizione di sostenere la Costituzione di Spagna, Ferdinando I operò un immediato voltafaccia e invocò l'aiuto austriaco, dichiarando di essere stato costretto a concedere la Costituzione con la forza. Gli austriaci furono così liberi di marciare su Napoli.All'avvicinarsi del nemico l'esercito napoletano fu diviso in due parti: l'una avrebbe dovuto difendere la linea del Garigliano e poi quella del Volturno, sotto il comando di Carascosa; l'altra, guidata da Guglielmo Pepe, avrebbe invece dovuto agire al confine tra l'Umbria e l'Abruzzo.Dopo aver fallito un attacco di sorpresa contro gli austriaci a Rieti il 7 marzo, Pepe tentò di resistere nelle gole di Antrodoco, ma, sconfitto nuovamente, dovette abbandonare l'Aquila e ritirarsi verso sud.La marcia delle truppe austriache fu a questo punto relativamente facile: cessata ogni resistenza napoletana, il 20 marzo 1821 gli austriaci poterono entrate a Capua e il 24 a Napoli.

mercoledì 5 luglio 2017

Zanardelli Giuseppe

Brescia, 1826 – Maderno, 1903
 

Giurista e uomo politico. Partecipò ai moti del 1848 e alle Dieci giornate di Brescia (1849). Costretto a fuggire, tornò a Brescia nel 1859 per preparare su incarico di Garibaldi l'insurrezione di giugno. Deputato della Sinistra dal 1860, ministro dei Lavori pubblici (1876-77) e degli Interni (1878), fu relatore (1880) della proposta di legge sulla riforma elettorale e ministro della Giustizia (1881-83). Nuovamente ministro della Giustizia (1887-91), preparò il codice penale che prese il suo nome e che rimase in vigore fino alla promulgazione del codice Rocco (1930).

mercoledì 14 giugno 2017

Palazzo Gaddi


Il Museo è ospitato nel settecentesco Palazzo Gaddi, caratterizzato da grandiose forme barocche, con significativi innesti, soprattutto pittorico-decorativi, neoclassici.Conserva materiali che vanno dal periodo napoleonico (1796) sino alla II Guerra Mondiale, al momento parzialmente esposti a seguito dei lavori di restauro dell'edificio. All'interno del percorso museale è privilegiata la parte risorgimentale, con cimeli di Piero Maroncelli, Achille Cantoni, Aurelio Saffi.


Da segnalare un ricco repertorio di testimonianze sulla "vocazione" volontaria e garibaldina dei forlivesi.

venerdì 2 giugno 2017

Il Risorgimento

L'occupazione dei principati danubiani di Moldavia e Valacchia da parte della Russia provocò la reazione di Francia e Inghilterra che dichiararono guerra allo zar Nicola I il 27 marzo 1854.Già il 10 aprile conclusero un trattato di alleanza, in cui affermarono di voler tutelare l'integrità dell'Impero ottomano e ristabilire così l'equilibrio in Europa.Grazie all'abilità di Cavour – che riuscì tra l'altro a sventare una manovra tendente a legare la partecipazione al conflitto all'affossamento del disegno di legge sulla soppressione dei conventi e alla nascita di un ministero Revel – nel gennaio 1855 il Piemonte firmò un trattato di alleanza con Francia e Inghilterra, poi approvato dal Parlamento tra febbraio e marzo.Conseguenza immediata del trattato fu la dichiarazione di guerra alla Russia, il 4 marzo 1855, e la spedizione in Crimea di quindicimila uomini; il corpo armato, guidato da Alfonso La Marmora, diede poi buona prova di sé il 16 agosto 1855 nella battaglia difensiva sul fiume Cernaia. Questa stessa battaglia fece fallire l'ultimo tentativo russo di rompere l'assedio di Sebastopoli.Cavour poté quindi partecipare come plenipotenziario di uno Stato vincitore al Congresso che si aprì a Parigi il 25 febbraio 1856. L'attività del primo ministro sardo fu particolarmente intensa al di fuori delle sedute congressuali e mirò sostanzialmente ad ottenere che qualche mutamento della situazione italiana potesse attuarsi con l'appoggio francese e inglese. Come è noto, però, l'unico risultato concreto ottenuto dallo statista piemontese fu la discussione sull'Italia, che si tenne nella capitale francese l'8 aprile 1856In quell'occasione Cavour protestò contro l'occupazione dello Stato pontificio e sottolineò come la situazione interna delle Legazioni fosse peggiorata dopo il 1849.Condannando poi la condotta seguita da Ferdinando II (come era stato già fatto, del resto, dai rappresentanti di Francia e Inghilterra) sostenne che proprio quel comportamento accresceva le forze del partito rivoluzionario e costituiva, quindi, un pericolo per il Piemonte e per l'Italia.Proponendosi in ambito internazionale come portavoce di istanze di rinnovamento e come tutore di uno sbocco non rivoluzionario nella penisola, Cavour ottenne così con il Congresso di Parigi un ampio successo morale: il suo operato, infatti, approvato dal Parlamento subalpino nel maggio 1856, contribuì a rafforzare il ruolo-guida del Regno di Sardegna nel movimento nazionale.

domenica 21 maggio 2017

Museo storico di Bergamo

La sezione ottocentesca del Museo storico di Bergamo, che ha ereditato il patrimonio storico e artistico del Civico Museo del Risorgimento e della Resistenza, è allestita dal 7 maggio 2004 nel fabbricato all'interno del mastio della Rocca, costruito durante il dominio veneto per alloggiare gli artiglieri.
Il mastio, in posizione elevata, offre una visuale a 360 gradi sulla città e su alcune aree della provincia: i principali edifici monumentali della parte alta, l’abitato in piano, i colli di San Vigilio e della Maresana, la valle Brembana e il territorio verso Treviglio e Milano. Il percorso, organizzato in sezioni, parte dall'arrivo delle truppe francesi a Bergamo (Natale 1796) e tocca sino al 1870 i nodi tematici più significativi delle vicende del territorio bergamasco, in rapporto con la storia lombarda e nazionale. Obiettivo del progetto è offrire una visione il più possibile completa del periodo 1797-1870 attraverso linguaggi e testimonianze diversificate: il percorso si avvale di ricostruzioni d'ambiente, postazioni multimediali, audio con le voci di alcuni protagonisti degli eventi storici e testimonianze materiali, provenienti sia dalle raccolte museali, sia dalle collezioni di istituzioni cittadine e provinciali nonché di privati cittadini

domenica 14 maggio 2017

Museo Risorgimentale di Lucca

Il Museo del Risorgimento, ospitato in alcune sale del Palazzo Ducale, illustra attraverso una interessante esposizione di reperti, il periodo della storia italiana compreso tra il 1821 e la prima guerra mondiale. Importante la presenza di cimeli rari quali, ad esempio, la bandiera dei Carbonari del 1821 omaggio dell´amministrazione provinciale, le bandiere della Guardia Nazionale e del XII battaglione, e i cimeli garibaldini e mazziniani. Sono esposte inoltre una serie di armi di varie epoche e nazioni di provenienza. Il museo, profondamente ristrutturato, è stato riaperto il 17 marzo 2013. Il nuovo allestimento propone attraverso strumenti multimediali, un percorso immersivo, che supporta e amplifica il potere evocativo della collezione del museo – oggetti d’uso quotidiano, quadri, lettere, armi, vestiario, ecc., in modo che siano gli stessi reperti a raccontare la loro storia al visitatore. Particolare attenzione nella costruzione del percorso è stata data al tema dell'accessibilità universale.

martedì 2 maggio 2017

Poesia dedicata a Giuseppe Garibaldi

G. Carducci
Te là di Roma su i fumanti spaldi
Alte sorgendo ne la notte oscura
Plaudian pugnante per l'eterne mura
L'ombre de' Curzi e Deci, o Garibaldi.

A te de' petti giovanili e baldi
Sfrenar l'impeto è gioia; a te ventura
Percuoter cento i mille, e la sicura
Morte con amorosi animi saldi

Abbracciar là sopra il nemico estinto.
Or tu primo a spezzar nostre ritorte
Corri, sol del tuo nome armato e cinto.

Vola tra i gaudi del periglio, o forte:
Vegga il mondo che mai non fosti vinto
Né le virtù romane anco son morte.

MUSEO NAZIONALE DELLA CAMPAGNA GARIBALDINA DELL'AGRO ROMANO PER LA LIBERAZIONE DI ROMA

Nel 2005 il Museo della Campagna dell'Agro Romano per la Liberazione di Roma, ed esattamente nel mese di maggio, ha festeggiato un secolo di vita. Non tutti sono a Conoscenza che il fabbricato in peperino di Viterbo, richiama l'architettura di un tempietto ellenico accogliendo la similitudine che fece Garibaldi tra il sacrificio dei Cairoli d del loro compagni a Villa Glori con l'eroica resistenza di Leonida nella Grecia classica. Il progetto fu dell'architetto Prof. Giulio De Angelis. La facciata anteriore è adorna di corone d'alloro alternate da trofei con daghe e baionette. Sul fregio, eseguita dallo scultore Scardovi, c'è la scritta "Roma o Morte!". Il Museo, in questi lunghi anni di vita, ha avuto visitatori illustri dai Presidenti del Consiglio dei Ministri Benito Mussolini, Ivanoe Bonomi, Pietro Nenni e Giovanni Spadolini agli  Ambasciatori di Uruguay e Repubblica di San Marino, alti gradi militari delle Forze Armate, studiosi, studenti e semplici cittadini. E' recente la presenza del giornalista Rai Alberto Angela in occasione del documentario di Superquark su Garibaldi. La sua storia è nei volumi con le firme dei visitatori dal 1890. Dal 1997 il Museo ha ripreso la sua collocazione nella storia nazionale affidato in gestione dal Consiglio Comunale di Mentana, alla locale sezione dell'Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini.

martedì 11 aprile 2017

Mazzini: Giovine Italia e Giovine Europa

L’idea e la necessità di un unico stato europeo ha una lunga storia, essa è nata già secoli prima della sua effettiva realizzazione, sostenuta da molti intellettuali, scrittori e politici, apparendo nei loro pensieri e nei loro scritti.«L’epoca passata, epoca che è finita con la rivoluzione francese, era destinata ad emancipare l'uomo, l'individuo, conquistandogli i doni della libertà, della eguaglianza, della fraternità. L'epoca nuova è destinata a costituire l’umanità; è destinata ad organizzare un'Europa di popoli, indipendenti quanto la loro missione interna, associati tra loro a un comune intento». (Giuseppe Mazzini)Tra i tanti personaggi, ha avuto un ruolo molto importante nella formazione dell’odierna Unione Europea Giuseppe Mazzini, un politico e filosofo italiano. Nato a Genova nel 1805, egli venne imprigionato nel 1830 a Savona ed esiliato nel 1831, perciò si stabilì in Francia. Qui fondò la “Giovine Italia”, un'associazione politica insurrezionale con l’obiettivo di trasformare l'Italia in una repubblica democratica, secondo i principi di libertà, indipendenza e unità, ma che venne disciolta per il suo fallimento nel 1833

sabato 25 marzo 2017

La pace di Villafranca

La decisione di aprire le trattative con l'Austria per un armistizio e per dei preliminari di pace fu presa da Napoleone III – evidentemente preoccupato per quanto stava avvenendo nell'Italia centrale – senza avvertire Cavour.Costui, informato il 9 luglio della firma dell'armistizio – avvenuta il giorno precedente senza alcuna opposizione di Vittorio Emanuele II e con la partecipazione, per parte piemontese, del generale Della Rocca –, si diresse immediatamente al campo; la sera del 10 ebbe quindi lunghi colloqui a Monzambano con il re, con La Marmora e con il principe Napoleone, ma non fu ricevuto a Valeggio, dove era il quartier generale di Napoleone III.La mattina seguente, a Villafranca, l'imperatore francese fissò quindi verbalmente i preliminari della pace con Francesco Giuseppe; pur informato immediatamente del contenuto del colloquio, Vittorio Emanuele II non sollevò alcuna obiezione.Il testo definitivamente formulato in un incontro avvenuto la sera stessa dell'11 luglio a Verona tra l'imperatore d'Austria e il principe Napoleone, colà inviato dal cugino imperatore, stabilì che l'Impero asburgico avrebbe ceduto la Lombardia alla Francia – la quale solo in un secondo momento l'avrebbe passata al Piemonte – ma avrebbe conservato il Veneto e le fortezze di Mantova e Peschiera.Il granduca di Toscana e il duca di Modena, parenti di Francesco Giuseppe e suoi alleati, sarebbero poi rientrati nei loro possedimenti, mentre per quel che riguardava il Ducato di Parma, di cui invece non si faceva menzione nel testo, non furono avanzate obiezioni ad una sua eventuale annessione al Regno di Sardegna.Atteso il ritorno del principe francese a Valeggio, assieme a Napoleone III, Vittorio Emanuele II rientrò quindi molto tardi al suo quartier generale di Monzambano, dove, la notte stessa dell'11 luglio, mostrò a Cavour copia del trattato.Vi fu allora tra i due una violenta discussione, durante la quale il primo ministro tentò in ogni modo di persuadere il re a non firmare l'accordo, assolutamente inaccettabile dal punto di vista del movimento nazionale italiano. Di fronte però alla fermezza del sovrano, Cavour si convinse di non dover far altro che rassegnare le dimissioni.Il passaggio al Piemonte della Lombardia sarebbe stato poi definitivamente sancito dalla conferenza di pace di Zurigo, chiusasi il 10 novembre 1859.

venerdì 17 febbraio 2017

Le leggi Siccardi

Nominato ministro della Giustizia e degli Affari ecclesiastici il 18 dicembre 1849 per consiglio di Cavour, il conte Giuseppe Siccardi presentò alla Camera il 25 febbraio 1850 un progetto di legge per l'abolizione del privilegio del foro ecclesiastico e dei residui del diritto d'asilo, per la riduzione delle feste religiose, e per l'obbligo dell'autorizzazione governativa all'acquisizione di beni da parte degli ordini ecclesiastici.Il progetto fu poi diviso dalla Camera in tre leggi.La prima legge, che riguardava il foro ecclesiastico e il diritto d'asilo, fu discussa e approvata alla Camera in marzo, dove sollevò un interessante dibattito: agli interventi contrari di Ottavio Thaon di Revel e di Cesare Balbo, che affermarono l'opportunità di portare avanti trattative con Roma, si contrapposero i principali esponenti della Sinistra, del Centrosinistra, e dei moderati.Lo stesso Cavour pronunciò in quell'occasione un discorso di grande successo.Dopo esser passata al vaglio del Senato, quella legge venne poi promulgata da Vittorio Emanuele II il 9 aprile 1850. Successivamente il Parlamento approvò anche gli altri due provvedimenti, con maggioranze assai larghe alla Camera ma più risicate al Senato. L'ingresso di una chiesa. Una delle tre leggi Siccardi aboliva il diritto d'asilo, secondo cui la Chiesa poteva dare rifugio a persone incriminate dalle leggi dello Stato - olio su tela - Galleria d'Arte Moderna - FirenzeLa decisione del governo di Torino di riformare in modo unilaterale la legislazione ecclesiastica, in contrasto con i concordati ancora vigenti, fu giudicata un atto ostile da monsignor Antonucci, nunzio pontificio, che partì da Torino per Roma. Le relazioni fra il governo piemontese e la Santa Sede, benché non interrotte,divennero quel momento molto tese.Monumento alle Leggi Siccardi in piazza Savoia a Torino. Sui lati sono incisi i nomi dei comuni che sovvenzionarono la costruzione del monumento - 1853. L'ingresso di una chiesa  Una delle tre leggi Siccardi aboliva il diritto d'asilo, secondo cui la Chiesa poteva dare rifugio a persone incriminate dalle leggi dello Stato

mercoledì 1 febbraio 2017

Palazzo Morando

Due distinti percorsi espositivi caratterizzano le sale del settecentesco Palazzo Morando Attendolo Bolognini di via Sant'Andrea, 6.Al primo piano è attualmente ospitata la Pinacoteca: una collezione di dipinti, sculture, stampe che ha avuto origine nel 1934 dall'acquisizione da parte del Comune della collezione di Luigi Beretta e testimonia l'evoluzione urbanistica e sociale di Milano tra la seconda metà del XVII e i primi anni del XIX secolo; negli ambienti attigui sono state riallestite le sale di rappresentanza della casa nobiliare, un percorso suggestivo che documenta in modo esemplare il gusto settecentesco per l'arredo domestico, attraverso un nucleo di decorazioni, mobili e oggettistica recentemente ricomposto nella sua fisionomia originaria con una capillare attività di recupero di un patrimonio nel tempo disperso in diversi depositi esterni al palazzo.Nel gennaio del 2010 ha visto la luce il nuovo allestimento di Palazzo Morando finalizzato a dare nuova visibilità allo straordinario patrimonio artistico del Museo di Milano e al patrimonio storico delle Raccolte d'Arti Applicate che costituiscono un nucleo portante delle collezioni storiche e artistiche comunali. Gli interventi eseguiti hanno infatti valorizzato, oltre che il patrimonio tessile delle Raccolte Storiche anche le collezioni di abiti, accessori e uniformi conservati nei depositi delle Raccolte d'Arti Applicate del Castello Sforzesco che in questi ambienti hanno trovato la loro idonea sistemazione.Dal 1995, la volontà di documentare gli aspetti salienti e i protagonisti della vita culturale milanese tra il XVIII e il XIX secolo, integrando così il valore documentario delle collezioni, ha guidato l'organizzazione di alcune rassegne fondamentali, da "Pietro Verri e la Milano dei Lumi", dedicata ai fratelli Verri, a "Oh giornate del nostro riscatto. Milano dalla Restaurazione alle Cinque Giornate", fino a "La Milano del Giovin Signore. Le Arti nel Settecento di Parini" e "I volti di Carlo Cattaneo 18o1-1869. Un grande italiano del Risorgimento".

venerdì 20 gennaio 2017

La memoria e le interpretazioni del Risorgimento » Fine XIX-inizio XX secolo


  1. Già dai primi anni successivi all'unificazione il ricordo degli avvenimenti che avevano portato alla nascita dello Stato nazionale fu caratterizzato da polemiche, conflitti, rotture. C'era un'Italia monarchica e ufficiale che considerava casa Savoia come protagonista principale e quasi unica del Risorgimento, tanto da lasciare in ombra perfino il ruolo di Cavour, che pure era stato assolutamente decisivo; c'erano gli eredi della sinistra risorgimentale che invece criticavano in blocco l'unificazione perché – sostenevano – aveva coinciso in sostanza con la «conquista piemontese» del resto d'Italia ed identificavano perciò il vero Risorgimento, l'unico che meritasse d'essere celebrato, nell'azione di Garibaldi e deidemocratici.C'erano infine quanti, su posizioni cattoliche intransigenti, condannavano il Risorgimento perché aveva sottratto al papa i suoi territori rendendolo sostanzialmente prigioniero del nuovo Stato italiano.I primi studi storici sul Risorgimento risentivano in modo evidente di queste divisioni e spesso riproponevano le posizioni che erano state proprie delle varie correnti politiche nei decenni precedenti il 1860. Così, per citare due testi significativi di questa prima stagione di studi, il monarchico Nicomede Bianchi improntava la sua Storia della monarchia piemontese dal 1773 al 1861 (1877-1885) a una acritica esaltazione della monarchia sabauda; mentre la Storia d'Italia dal 1814 al 1863 (1863-64) del democratico Luigi Anelli considerava negativamente il ruolo svolto dal Piemonte nell'ultima fase dell'unificazione.