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sabato 19 dicembre 2009

Sport

Marco Pantani



Marco Pantani detto il Pirata,è nato a Cesena il 13 gennaio del 1970, ed è stato uno dei ciclisti più forti fino ad ora. Uno dei migliori scalatori di sempre al mondo, nonché un formidabile atleta per corse a tappe. La sua esplosione come ciclista avvenne al Giro del 1994 con le vittorie di tappa di Merano e Aprica con il Mortirolo e con il secondo posto in classifica generale. Al suo debutto nel Tour del 1994 finì terzo in classifica generale, senza però riportare alcun successo di tappa. L'anno successivo colse una grande vittoria all'(Alpe d'Huez).Ma poi venne colto da un incidente mentre era in bicicletta,che gli costò la frattura in due punti di una gamba e la prospettiva di una prematura fine agonistica. Pantani ritornò a correre nel 1997, ma subì un nuovo incidente al Giro d'Italia, a causa dell'attraversamento di un gatto al passaggio del gruppo, che lo costrinse al ritiro. Questa volta recuperò velocemente e ritornò in azione al Tour dello stesso anno, dove lottò a lungo per la maglia gialla, riportando altri due successi parziali ancora all'Alpe d'Huez (dove stabilì il record di scalata) e a Morzine. Grazie alla sua conformazione fisica e alla sua abilità unica, Pantani era virtualmente imbattibile sulle salite delle Alpi e dei Pirenei, ma il più robusto e potente Jan Ullrich mostrò la sua determinazione e riuscì a limitare il tempo perso nei confronti di Pantani nel corso di alcune battaglie titaniche. Ullrich fu in grado di recuperare lo svantaggio nelle tappe a cronometro, per le quali era più tagliato, riuscendo a portare la maglia gialla fino a Parigi, mentre Pantani si piazzò al terzo posto della classifica finale. Marco vinse nel 1998 il (Tour de France)(battendo l'indistruttibile Ullrich) e il (Giro d'Italia), solo pochi campioni riuscirono in questo intento. La bandana che Marco indossava e il modo con cui scattava e lasciava indietro gli avversari, gli valsero il nome di Il Pirata. Ma purtroppo le cose cambiarono durante l'anno 1999, quando era al comando con parecchi minuti sul secondo in classifica venne escluso dalla gara (che fu poi vinta da Ivan Gotti) per un livello troppo alto di globuli rossi. L'Italia restò scioccata di fronte a questa notizia. Il Pirata, accerchiato da giornalisti quando stava per lasciare la corsa, dirà: «Mi sono rialzato dopo tanti infortuni e sono tornato a correre... Questa volta però abbiamo toccato il fondo... Rialzarsi sarà per me molto difficile.»

La squadra del Pirata - "Mercatone Uno" - si ritirò insieme al proprio capitano dalla corsa rosa. Il valore di ematocrito riscontrato a Pantani fu del 52%, contro il 50% che è il massimo valore consentito dai regolamenti internazionali, oltre al margine di tolleranza dell'1%. Dopo due ore dall'esclusione Pantani si era sottoposto di sua iniziativa a un nuovo controllo del sangue, risultando in regola, con ematocrito dentro i parametri stabiliti. Pantani partecipò al Tour de France del 2000. Anche se fuori dalla lotta per gran parte della corsa, Pantani mostrò un lampo del suo talento e della sua determinazione quando si confrontò in una lotta pedale contro pedale con l'apparentemente invincibile Lance Armstrong, sulla terribile salita del Mont Ventoux. Una tappa memorabile, con un'incredibile cornice di pubblico sulla salita del "monte calvo": Pantani perse inizialmente terreno per poi recuperare e staccare addirittura Armstrong. L'americano poi lo riagguantò, ma avendo speso troppo per riprenderlo, non riuscì a vincere la tappa. Successivamente, Armstrong, durante un'intervista dichiarò indegnamente d'aver lasciato la vittoria al Pirata. Ma questa vittoria "regalata" non andò giù a Pantani: decise allora di attaccare il suo avversario nella durissima tappa di Courchevel. Altra tappa incredibile: piano piano Pantani recuperò i fuggitivi e andò a vincere in solitaria, staccando Armstrong. Fu questa bellissima vittoria l'ultima gemma della sua carriera. Gli ultimi lampi di classe del Pirata furono durante le tappe del Monte Zoncolan e della Cascata del Toce, dove, in località Canza, fece il suo ultimo scatto a 3 chilometri dall'arrivo, al Giro d'Italia 2003 dove lottò spalla a spalla con i migliori classificandosi quattordicesimo. Nel giugno 2003 Pantani entrò in una clinica del Nord Italia per curarsi dalla depressione di cui da tempo soffriva, assottigliando le possibilità di rivederlo gareggiare in una grande competizione.

La Triste Fine

Il 14 febbraio 2004, Marco Pantani venne trovato morto in un residence di Rimini. L'autopsia rivelò che la morte fu causata da un arresto cardiaco, conseguente ad un'overdose di cocaina. L'autopsia sul midollo spinale, i cui esiti furono divulgati molti mesi dopo la morte, esclusero in maniera categorica l'uso di sostanze dopanti atte a modificare le prestazioni sportive per un lunghissimo lasso di tempo che precedette la tragica morte.





LA STORIA DEL TORINO CALCIO



Il 3 Dicembre 1906 nasce il Football Club Torino.
Il Torino e il granata delle sue maglie sono indissolubilmente legati alla storia del calcio italiano.
Quasi cento anni di vita, segnata da prestigiosi successi e grandi tragedie, che hanno legato il pubblico in modo viscerale al Toro.
Nato nel dicembre 1906, il club si è sempre contraddistinto per alcune peculiarità: la passione, la grinta e lo spirito di sacrificio, caratteristiche fondamentali per legare il proprio nome ai colori granata.
Sono 23 i soci che la sera del 3 dicembre 1906 si riuniscono nella birreria Voigt di Pietro Micca per dare vita al Football Club Torino. Primo presidente venne nominato lo svizzro Hans Schoenbrod, la prima gara uffciale nel dicembre 1906, con un successo esterno a Vercelli.
Le stagioni a seguire sono segnate da piazzamenti importanti, ma senza l'acuto del successo prestigoso.
Nel 1914 il Torino, prima squadra europea, intraprende una tournèe in Sud America, per quel periodo una vera e propria avventura.
Sei gare ed altrettante vittorie per i granata che così si fanno conoscere nell'altro capo del mondo.
Dopo lo stop dovuto alla prima guerra mondiale, il campionato riparte nel 1919. Cinque anni dopo insedia ilpresidente Enrico Marone Cinzano, che firma il primo scudetto granata. Infatti dopo il titolo revocato nella stagione 1926-27 il Torino l'anno seguente conqiusta il suo primo tricolore.
Nel 1936 arriva la prima Coppa Italia e, tre anni dopo il Conte Marone Cinzano lascia la presidenza e alla guida del Toro arriva Ferruccio Novo poi noto come il "padre" del GRANDE TORINO.
Nasce così la squadra capace di battere tutti i record, di conquistare titoli in serie, ben cinque, di centrare la prima accoppiata scudetto - Coppa Italia (1943) e di portare ben 10 calciatori in nazionale.
Il Toro in quel periodo è simbolo di una nazione intera, reduce dalla seconda guerra mondiale. Il granata è il colore di tutti ed i ragazzi del Toro sono l'orgoglio dell'intero paese.
Ma il destini crudele ed atroce è dietro l'angolo. Il 4 maggio 1949 l'aereo che riporta a casa i granata, reduci dalla trasferta di Lisbona, si schianta contro la basilica di Superga. In un attimo, in un maledetto attimo il Grande Torino non c'è più. Trentuno le vittime, fra atleti, dirigenti, giornalisti e membri dell'equipaggio.
Rialzarsi per il Torino dopo la tragedia è difficile. I campionati seguentivedono comunque un Toro competitivo e protagonista di piazzamenti decorosi.
Purtroppo nel 1959, arriva però la prima retrocessione in serie B. La risalita è comunque immediata, e nel 1963 alla presidenza sale Orfeo Pianelli. Ma un nuovo duro e tremendo colpo del destino è in agguato. Nell'oottobre del 1967 muore in un incidente stradale la "farfalla granata" Gigi Meroni, talento del calcio capace di far rivivere nei tifosi le emozioni dei campionissimi periti a Superga.
La conquista della terza Coppa Italia, nel 1968, contarddistingue gli anni sessanta. Il decennio seguente si apre con un nuovo success sempre in Coppa e, nel 1976, arriva il settimo scudetto, il primo del sopo Superga, seguito da una serie di importanti piazzamenti negli anni successivi.
A Pianelli nel maggio del 1982, subentra alla guida del club Sergio Rossi. Il Toro si conferma tra le protagoniste in campionato, ma l'abbandono di Rossi nel giugno del 1987, segna l'inizio di un periodo molto tormentato, segnato dalla seconda retrocessione della storia nel 1989.
La finale Uefa, persa nella sfida contro l'Ajax e la vittoria in Coppa Italia nel 1993, sono tra i pochi raggi di sole di un decennio molto difficile che vede susseguirsi nella poltrona della presidenza del Torino nell'ordine Borsano, Goveani, Calleri e Vidulich fino all'avvento di Francesco Cimminelli artefice dell'ultima scellerata gestione che porterà il Torino fino al fallimento.
In questo periodo buio, l'identità del Torino Calcio viene mantenuta in vita dai suoi tifosi: unica nella storia del tifo è la marcia popolare (50.000 persone secondo gli organizzatori) che il 4 maggio del 2003, all'indomani di un'ennesima retrocessione in serie B, affollerà le strade della capoluogo subalpino, partendo dai resti del Filadelfia, passano davanti la lapide commemorativa di Gigi Meroni, piazza San Carlo, giungendo finalmente alla lapide dei grandi di Superga. Questo sarà il segno tangibile di un'incredibile e ostinata passione, anni prima definita "tremendismo" dal noto scrittore e poeta Giovanni Arpino.
L'ultima soddisfazione in serie A, per i tifosi del Toro, risale a un incredibile derby di andata con i cugini bianconeri disputato nella stagione campionato 2001-2002, quando il Toro, sotto di tre gol alla fine del primo tempo, riuscirà incredibilmente a pareggiare il match.
Il 26 giugno 2005 in uno stadio stracolmo il Torino festeggia il ritorno in Serie A, in una sorta di nemesi dello spareggio del 1998, contro il Perugia al termine dei playoff. Ma la gioia dura poco: i pesanti debiti che la società ha accumulato nel corso delle ultime gestioni fanno sì che venga negata al Toro l'iscrizione al Campionato di Serie A, costringendo i granata ad attendere gli esiti dei ricorsi presso la giustizia sportiva e amministrativa.
Tali ricorsi risulteranno negativi, dopo ben 5 gradi di giudizio e altrettante bocciature nell'arco di 40 lunghissimi ed estenuanti giorni, a fronte di una mancata presentazione - da parte dell'azionista di maggioranza - della fidejussione necessaria a garantire la copertura delle precedenti ed accumulate insolvenze per debiti pendenti con l'erario, il 9 agosto 2005 il Torino Calcio viene dichiarato in via definitiva non idoneo all'iscrizione del Campionato suddetto, cosicché dopo ben 99 anni di storia memorabile viene sancito l'inevitabile fallimento della società granata, con la susseguente cancellazione dal panorama calcistico.
Dal Torino Calcio al Torino Football Club 1906
In seguito a questa situazione deficitaria, mai così drasticamente provata in passato dal Torino Calcio, una nuova cordata d'imprenditori facenti capo all'avv. Pierluigi Marengo (tra i più conosciuti Sergio Rodda, Manlio Collino, Marco Cena, Gianni Bellino, Alex Carrera), ma con limitate risorse finanziarie, si fa carico di far rinascere una nuova entità professionistica e, attraverso la creazione della Società Civile Campo Torino (la denominazione è presa dall'antico nome dello Stadio Filadelfia), il 19 luglio presenta la domanda per l'ammissione al Lodo Petrucci, che garantisce il trasferimento alla nuova società del titolo e dei meriti sportivi, in modo da evitare di dover ripartire dalla serie C, ed avvia le pratiche per l'iscrizione al Campionato di Serie B.
Una prima proposta economica viene però ritenuta insufficiente dalla FIGC: alla cordata si aggiunge quindi anche la sponsorizzazione della municipalizzata SMAT (società che gestisce l'acquedotto torinese), completando così l'iter burocratico.
Il 16 agosto 2005 finalmente, la FIGC affida ufficialmente alla nuova società il titolo sportivo del Torino Calcio: la nuova dirigenza, ripartendo completamente da zero, acquisisce quindi l'onere e l'onore di rifondare tutto l'organigramma societario, nonché l'organico dei giocatori e dei relativi dipendenti del Club. Il 19 agosto, nel bar Norman (noto un tempo come birreria Voigt, lo stesso luogo delle origini), durante la conferenza stampa che avrebbe dovuto vedere la presentazione del nuovo organigramma societario, viene invece annunciato che la proprietà verrà ceduta all'editore-pubblicitario alessandrino Urbano Cairo, che il giorno prima aveva lanciato una proposta di acquisto.
Quando tutto sembra concluso per il passaggio ad un imprenditore facoltoso, il 22 agosto, Luca Giovannone, un imprenditore laziale di Ceccano (FR) che con 180.000 Euro aveva contribuito a finanziare il Lodo, facendosi forte di una scrittura privata (avuta dal presidente dei cosiddetti Lodisti) che gli garantiva il 51% delle azioni del nuovo Toro, si rifiuta di vendere. In un continuo tira-molla interviene anche il sindaco Sergio Chiamparino: il 24 agosto Giovannone si dichiara disposto a passare la mano, poi cambia di nuovo idea (facendo infuriare i tifosi, che già avevano acclamato Cairo nuovo presidente), fugge dalla città e diviene irreperibile. Rintracciato in un albergo a Moncalieri, poi assediato dai tifosi, rifiuta il tentativo di mediazione offerto dal Sindaco e dal Prefetto e, scortato dalla polizia, lascia la città. Il 26 agosto l'assemblea dei soci della SCC Torino delibera l'aumento di capitale a 10 milioni di Euro, e crea ufficialmente il Torino Football Club Srl con capitale da versare interamente entro il 31 agosto, giorno in cui, quasi alla mezzanotte, e dopo una lunga e estenuante trattativa, Giovannone cede: il 2 settembre viene firmato l'atto notarile e Cairo diventa il secondo presidente della storia del nuovo Toro (dopo l'avvocato Marengo).
La riunificazione della storia granata sarà poi completata il 12 luglio 2006 quando Cairo acquista all'asta fallimentare per 1 milione e 411 mila euro il marchio del "vecchio" Torino, con le coppe e i cimeli del Grande Torino, accogliendo così le richieste che tifosi, intellettuali ed esponenti della società civile cittadina avevano lanciato, consentendo così di programmare pienamente i festeggiamenti per il Centenario, non solo nella continuità sportiva, ma anche in quella societaria.
Stagione 2005-2006
La squadra fa il suo esordio appena 7 giorni dopo, rinforzata con gli ultimi innesti (alcuni dei quali acquistati la sera prima) all'impianto "base" ereditato dalla gestione dei lodisti e un nuovo allenatore Gianni De Biasi, esordendo vittoriosamente contro l'Albinoleffe, superato per 1-0 con gol di Enrico Fantini, giocatore che si rivelerà importantissimo nella prima parte della stagione, realizzando numerose reti decisive. Si mette in luce anche un giovane prelevato dal Parma Calcio, Alessandro Rosina, che presto viene soprannominato "Rosinaldo", in accostamento al talento brasiliano Ronaldo per via della facilità nel dribbling. Il Torino in breve conquista posizioni di vertice, salvo poi precipitare in coincidenza dell'innesto dei rinforzi del calciomercato invernale, in un periodo nero durato oltre due mesi, al termine del quale il Torino era virtualmente fuori dalla zona "play-off"; con il tornare delle vittorie, in un crescendo di entusiasmo i giocatori granata terminano la stagione 2005/06 al terzo posto (sfiorando la promozione diretta), conquistando i play-off: un risultato inimmaginabile all'inizio della stagione, che pareva esser alla portata in autunno e poi sfuggito in inverno, conquistato infine dopo una lunga rincorsa, viene vinto contro Cesena (1-1, 1-0) e Mantova (2-4, 3-1 dts), riportando così il "Toro" in Serie A.
Stagione 2006-2007
Il ritorno nella massima serie, complice le numerose penalizzazioni dovute a "Calciopoli", è colmo di speranze per un piazzamento onorevole: gli innesti paiono essere addirittura di altissimo rango (Abbiati, Fiore e il campione del mondo Barone su tutti) ma la realtà del campo costringe a prendere atto che la squadra fatica a produrre gioco, esibendosi in maniera approssimativa anche nelle amichevoli con squadre di categorie inferiori, e uscendo prestissimo dalla Coppa Italia, già al secondo turno, ad opera del Crotone. Gianni De Biasi viene esonerato prima ancora che il campionato inizi, anche per dissapori con la dirigenza, e al suo posto viene chiamato Alberto Zaccheroni; la squadra seguita non migliorare, ma qualche vittoria anche arriva, come quella occorsa contro l'Empoli il 3 dicembre 2006, giorno in cui veniva celebrato il Centenario dalla Fondazione, tuttavia dopo fasi di alterne fortune in cui la squadra vivacchia a metà classifica, infila 6 sconfitte consecutive, che costano la panchina anche a Zaccheroni. Al suo posto viene richiamato De Biasi, che riesce a ricompattare lo spogliatoio e a concludere il campionato salvando il Torino dalla retrocessione con una giornata d'anticipo.
Stagione 2007-2008
Il secondo "miracolo" consecutivo del tecnico veneto non è però sufficiente a garantirgli la conferma: per la stagione 2007-2008 viene chiamato sulla panchina granata Walter Novellino, al quale viene affidata una rosa nuova di zecca, con ben 12 nuovi arrivi tra i quali Eugenio Corini, Cesare Natali e Nicola Ventola, oltre a David Di Michele sul quale però pende una squalifica di tre mesi (che scadrà il 30 ottobre 2007) per via di alcune scommesse vietate, effettuate al tempo in cui militava ancora nell'Udinese.






Alberti Nino



(1940-1991) Fondatore della Polisportiva Fiamma Tirrenica e dell’Amatori Sport Duilia. In 32 anni di attività educò allo sport migliaia di giovani barcellonesi. La sua opera nel campo dell’atletica, del rugby, del basket fu immensa, mai legò lo sport con la politica e la sua dedizione ai giovani fu senza riserva, invidiabile ad un vero padre.
Appassionato trascinatore, con grande spirito di sacrificio portò ai vertici nazionali atleti barcellonesi come: Mangano, Buttà, Abbate, Triolo, Iarrero, De Caro, Rappazzo, Torre… Facendo conoscere, in Italia, gli aspetti positivi della nostra città.
Fu un uomo onesto e si impegnò con sacrificio al lavoro e alla famiglia, dedicò la sua vita allo sport con spiccata competenza e passione finalizzata esclusivamente al raggiungimento di alti valori umani e sociali.










Sandro Ciotti



Voce storica dello sport italiano. E' morto a Roma il giornalista Sandro Ciotti, uno dei più famosi radiocronisti del calcio italiano. Ciotti, 75 anni, si è spento dopo una lunga malttia. Per 40 anni Sandro Ciotti, con la sua ormai nota voce roca e profonda, ha fatto informazione sportiva alla radio e, da qualche anno, anche in televisione. Ciotti aveva scritto anche un libro, "Quarant'anni di parole", in cui aveva descritto le sue personali riflessioni sulla vita italiana. Una voce indimenticabile. La sua voce roca mancherà a intere generazioni di italiani, a tutti quelli che avevano il pallone nel cuore o nella testa. Sandro Ciotti è stato The Voice versione italiana, non bravo come Sinatra a cantare (come lui avevo però un'immensa passione la musica, lo testimoniano i reportages su 40 edizioni del festival di Sanremo) ma era il massimo per narrare le imprese degli eroi del calcio. Quello in particolare degli anni Sessanta e Settanta, quando allo stadio andavano ancora le famiglie e papà e mamma mettevano nel cestino il panino con la frittata, e si poteva seguire la partita mischiati assieme ai tifosi avversari. Quello delle figurine che si attaccavano sull'album con la coccoina e Ciotti e Ameri non stavano sulla raccolta Panini ma era come se ci fossero. Era il calcio di quando non si poteva sapere il risultato del primo tempo prima che cominciasse il secondo, e allora tutti con la radiolina all'orecchio perché Ameri, Ciotti, Bortoluzzi in studio, Provenzali, Ferretti, Luzzi dai campi della serie B, svelavano il mistero mentre cominciava Tutto il calcio minuto per minuto. Amore per il calcio.Sandro Ciotti il calcio non solo lo raccontava, prima di tutto lo amava. Era una delle sue grandi passioni, assieme allo scopone e alla musica. Gli piacevano molto anche le donne ma, come un altro romano 'doc' come lui, Alberto Sordi, non aveva mai voluto saperne di sposarsi. Come padrino di battesimo aveva avuto Trilussa, ma invece di mettersi a fare il poeta da ragazzo suonava il violino, aveva gia' il pallino del giornalismo e giocava nelle giovanili della Lazio, unica squadra della sua carriera calcistica assieme all'Ancona. La voce rauca e la pioggia senza fine. La voce aveva preso quel timbro così roco e caratteristico dopo 14 ore consecutive di diretta sotto la pioggia, durante le Olimpiadi di Città del Messico nel 1968. E gli era rimasto appiccicato addosso, facendo di lui il simbolo di 30 anni di calcio radiofonico e poi anche televisivo, quando aveva per cinque anni, fino al 1991, condotto la Domenica Sportiva. Dal teleschermo era diventato anche l'esempio per chi, come lui, non voleva saperne di riporre nell'armadio le camicie con il 'collettone' stile primi anni '70, quelle che sono tornate di moda adesso che Ciotti se n'è andato. Era stimato da tutti Ciotti, compresi i fuoriclasse amanti dei silenzi stampa e quelli dalla vita disordinata. Quando Johan Cruijff, che ancora giocava, disse sì al progetto di film sulla sua vita calcistica pose solo una condizione: che la regia fosse affidata a Sandro Ciotti, "il miglior giornalista sportivo che ho mai conosciuto". Ne venne fuori 'Il Profeta del Gol', gemma del genere filmistico-documentario e ulteriore testimonianza di cos'era capace di fare quel signore che ha fatto diventare giornalisti sportivi tanti di quei bambini che sognavano d'imitarlo. Per essere accanto a lui a Milano, in una puntata della Domenica Sportiva, Diego Maradona, che glielo aveva promesso, sfidò scioperi aerei, nebbia impenetrabile e limiti di velocità, e alla fine riuscì ad arrivare. Non era ancora l'epoca del gettone di presenza, al Pibe de Oro come ricompensa basto' essere lì accanto alla Voce di Tutto il Calcio, il cantore di quando il calcio era ancora sentimento. Adesso il campionato è fatto soprattutto di veleni ma Ciotti fino a poco tempo fa, quando ancora interveniva a Radio anch'io lo Sport del lunedì mattina, per un attimo riusciva a far dimenticare movioloni, processi agli arbitri e storie al nandrolone. Sentendo quella voce sembrava che il pallone tornasse ad essere poesia.








Enrico Ameri



Nato a Lucca nel '26 da genitori di Busalla, nell'entroterra genovese, Ameri visse fin dagli 11 anni a Genova, città cui si sentiva particolarmente radicato, anche nel tifo calcistico (rossoblù). Nel '37 il padre, sottufficiale dell'esercito, viene trasferito a Roma con tutta la famiglia e qui Enrico Ameri conclude i suoi studi fino alla maturità classica. Combattente per la Repubblica Sociale, non ha mai tradito il suo credo politico dichiarando ai quattro venti di votare Movimento Sociale. Il suo approccio con la Rai risale al 1949, sollecitato dagli amici che lo spronarono a puntare sulla sua voce. Bocciato al primo colloquio, Ameri non si perse d' animo e dopo pochi mesi ritentò la sorte. Nel '50 debuttò con la sua prima radiocronaca alla Mille Miglia. La voce gli si smorzò in gola dall'emozione, ricorderà poi divertito: in suo aiuto venne Nando Martellini, che gli strappò il microfono. Il 15 marzo '51 venne assunto in Rai come inviato, ma Vittorio Veltroni, padre di Walter, gli annunciò che non avrebbe mai più fatto una diretta di sport. Incominciò per Ameri un percorso prezioso che lo portò in tutto il mondo: India, Indocina, Vietnam, sui fronti di guerra, nei punti caldi di maggior attualità, un' esperienza che gli valse la vetrina nei momenti clou della storia, come il discorso di Papa Paolo VI alle Nazioni Unite o i lanci delle navicelle Apollo nello spazio e lo sbarco sulla Luna. Allo sport tornò nel '55 con Udinese-Milan, ma Veltroni lo volle in televisione come telecronista della Nazionale, una parentesi breve, per riprendere a far sentire soltanto la sua voce, in una dimensione che Ameri, vivo e passionale, amava di più. Calcio e non solo (1600 le sue radiocronache), perché all' attivo ha anche 22 Giri d'Italia e 15 Tour de France, con nomi e fisionomie dei corridori studiati con la stessa intensità di quelli dei calciatori per una partita, per poterli poi raccontare attraverso il microfono, farli immaginare, renderli vivi a chi a casa ascoltava la radio. Alla fine degli anni Sessanta è Ameri a proporre al suo capo dei servizi sportivi Guglielmo Moretti un «Processo del lunedì» sulla falsariga del «Processo di tappa» di Zavoli. Moretti è perplesso, teme che il calcio sia troppo passionale, inadatto quindi alle critiche. Ma Ameri nell' 80 torna alla carica coinvolgendo Aldo Biscardi. Quello stesso anno il debutto de «Il Processo» condotto da Ameri con a fianco Novella Calligaris, l'anno successivo è invece con Marina Morgan. Ma dopo due edizioni lascia la poltrona a Biscardi e ritorna negli stadi a raccontare le partite a chi amava il calcio, ma anche la sua voce. Muore ad Albano Laziale il 7 aprile 2004 in seguito ad una crisi cardiaca.



Si scrive Leggenda: si legge Inter


L’Inter sale sul trono d’Europa ed entra nella storia. Il sogno adesso è realtà.Siamo primi e unici.La Grande Inter è tornata. E c’è chi ancora non ci crede. Siamo Campioni d’Europa.Siamo‘Campioni al cubo’. E’ TRIPLETTA. Sono veri i due gol di Milito: il suo numero 22 sulla maglia coincide con il 22 maggio che sarà stampato per sempre nell’albo d’oro della Champions. L’Inter non fa mai le cose a caso.Sono vere le lacrime dei ragazzi e delle ragazze nerazzurre sulle tribune del Bernabeu che hanno sfidato‘pacchetti’ costosi per vedere da vicino l’impresa. E’vera la corsa sfrenata di tutta l’Inter sul prato verde al triplice fischio di Webb.Sono vere,verissime le lacrime di gioia di Capitano che nella partita più importante festeggia 700 presenze.Quando dici il destino. E’ vera pure la maglia di Materazzi con su scritto ‘E adesso rivolete pure questa?'. Si, era proprio Massimo Moratti quello che ha ricevuto la medaglia da Platinì. Si si,era Balotelli quello che ha portato la Coppa dalle grandi orecchie sotto la curva Nord.Ed era proprio lui,Josè Mourinho, il vate di Setubal, il mago,quell’uomo in giacca e cravatta che piangeva. Più grande della grande Inter, di qualsiasi anche grandissima squadra italiana.Nella storia del nostro calcio c’è adesso il mito dell’Inter di Massimo Moratti, di Josè Mourinho,di Diego Milito,di un popolo che ha vissuto la gioia più incredibile che un tifoso possa semplicemente immaginare. Nessuno aveva mai vinto Coppa Italia,campionato e soprattutto Champions League nella stessa stagione. Quarantacinque anni dopo il cielo d’Europa si è colorato di nerazzurro. L’Inter ha battuto in finale i campioni di Germania, dopo aver eliminato i campioni d’Inghilterra(il Chelsea)e di Spagna, il Barcellona di Guardiola,forse la squadra di club più forte di tutti i tempi. L’Inter ha fatto un capolavoro. Sì, come la Grande Inter,quella di Angelo Moratti ed Herrera,di Sandro Mazzola. E' la vittoria innanzitutto di Massimo Moratti,che alza la sua prima Champions più che meritata. E'la vittoria dei giocatori, tutti straordinari:dovremmo citare la perfezione di Milito che andrà adesso ai Mondiali con un vantaggio formidabile su tutti i suoi concorrenti nella corsa al Pallone d’Oro;dovremmo citare il cuore di Zanetti,la classe di Cambiasso,la muraglia Lucio-Samuel.E'la vittoria di chi ha guidato questo gruppo stupendo, quindi di Josè Mourinho,che ringrazieremo per sempre, nonostante andrà via,direzione Madrid: questo trionfo è anche merito suo, non lo dimenticheremo mai,davvero.E'la vittoria dei tifosi,che hanno sempre sostenuto questa squadra da sogno,anche nelle situazioni più difficili. E'la vittoria della dirigenza,che ha regalato un mercato da 10 e lode al tecnico.E' anche la vittoria sui gufi, che ci hanno dato una mano e che adesso rosicano come non mai. Però la dedica più bella va riservata a loro due: primo a Peppino Prisco, il grande Avvocato; secondo,all'interista per eccellenza,alla bandiera,al nostro Giacinto Facchetti. Loro due hanno giocato la finale con la Beneamata e l’hanno vinta. Con noi,con quei due. Li sentivamo in campo.



Campioni d'Europa come noi interisti non ce ne sono. Campioni d'Europa con tanta gioia da spargere intorno. E'come una vita nuova che sgorga,nonostante cinque scudetti e varie Coppe(tte)dell'ultimo quinquennio,è la vita nuova della Grande Inter: la sola squadra italiana e sottolineo SOLA SQUDRA che abbia pieno possesso di quell'aggettivo,perché c’è differenza, e molta, da essere Campioni ad essere Leggenda. Per chiudere, tra lacrime e sorrisi, sappiate una cosa. Come la Grande Inter di Herrera passò alla storia,q uesta merita lo stesso se non di più. E allora, se abbiamo sentito parlare per anni di Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Corso, Suarez, Mazzola, Jair, Peirò, adesso preparate la memoria e iniziate a ripetere: Julio Cesar, Maicon, Zanetti; Cambiasso, Lucio, Samuel; Motta, Sneijder, Pandev; Eto'o, Milito. Allenatore, Josè Mourinho.



La Storia della "Grande Inter"



Protagonista in Italia, in Europa e nel Mondo, è da sempre considerata l'Inter di Angelo Moratti, presidente dal 1955 al 1968, periodo dei maggiori successi per la squadra nerazzurra. Angelo Moratti subentra alla presidenza del glorioso club nerazzurro a Carlo Masseroni, sotto la cui guida l'Inter, allenata da Alfredo Foni, conquista lo scudetto nelle stagioni 1952-53 e 1953-54. Nei primi cinque anni della nuova gestione si alternano, senza molta fortuna, diversi tecnici che non riescono a dare alla squadra un'identità ben precisa ed i risultati sono abbastanza deludenti. La svolta avviene nel 1960, anno in cui viene ingaggiato alla guida tecnica della squadra Helenio Herrera, allenatore della nazionale spagnola ed ex trainer di un Barcellona che aveva duellato alla pari con il mitico Real Madrid.



Il tecnico argentino diventerà uno dei più grandi personaggi del nostro calcio. Con lui sbarca in Italia Luisito Suarez, il suo regista "di fiducia". Istrionico, dalle idee innovative e spesso criticate, Herrera vuole costruire una squadra dalla fisionomia ben precisa, sia dentro che fuori dal campo, scontrandosi con la mentalità di molti giocatori non propensi ad adattarsi ad un gioco basato prevalentemente sull'aspetto atletico. Del suo modo di intendere il calcio ne farà i conti Antonio Valentin Angelillo, che Herrera non vorrà più al centro del suo attacco, nonostante il suo record di gol in una stagione (33 nel 1958-59) e la fama di goleador di cui godeva.



La sua squadra ideale si basava su un ottimo portiere, Buffon poi Sarti, una coppia di forti centrali difensivi formata da Guarneri e Picchi, un roccioso terzino marcatore come Burgnich ed un difensore esterno pronto ad inserirsi sulla fascia sinistra ed in grado di portare scompiglio nell'area avversaria, ruolo innovativo per il calcio italiano e realizzato alla perfezione da capitan Facchetti. Davanti alla difesa operava un mediano rubapalloni (Zaglio, Tagnin, Bedin) in grado di mettere in movimento a destra il velocissimo Jair, a sinistra Corso, mancino dalla classe immensa, ed il regista Suarez, rapido a smistare palloni per uno straordinario attaccante come Mazzola, e per l'altra punta (Di Giacomo, Milani, Domenghini, Peirò). Il "catenaccio" viene rivalutato e trasformato dal "Mago" in un gioco vivace che conquisterà ben presto consensi sia in Italia sia al di fuori dei confini nazionali.



L'avventura di Herrera comincia con l'Inter che giunge terza in campionato nel 1960-61, seconda l'anno dopo, e che diventa Campione d'Italia nella stagione 1962-63. L'anno successivo comincia per i nerazzurri l'avventura nella Coppa dei Campioni ed il cammino per Mazzola e compagni non si presenta facile. Nel primo turno i campioni d'Inghilterra dell'Everton vengono superati con un 1-0 complessivo mentre negli ottavi i francesi del Monaco vengono surclassati (1-0 e 3-1). Nei quarti di finale viene agevolmente superato l'ostacolo Partizan Belgrado (2-0 e 2-1) ed in semifinale l'Inter si trova opposta ai forti tedeschi del Borussia Dortmund contro i quali pareggia 2-2 in Germania per poi vincere a San Siro per 2-0. Il leader della squadra è Sandro Mazzola che nella competizione ha già realizzato cinque reti ed il 27 maggio 1964 si gioca a Vienna la finalissima contro il grande Real Madrid. La squadra spagnola è formata da grandi campioni, ormai non più giovani, come Arancio, Puskas e Di Stefano e giunge all'appuntamento alquanto logora. Helenio Herrera, che conosce bene gli avversari, ex rivali nel campionato spagnolo, imposta la partita sulla velocità ed un elevato ritmo, elementi che sin dall'inizio faranno la differenza. I nerazzurri trionfano per 3-1 con doppietta di Mazzola e rete di Milani e conquistano per la prima volta la Coppa dei Campioni. Il migliore in campo è il "vecchio" Tagnin e Mazzola si laurea capocannoniere torneo con sette reti. Passano pochi giorni ed il 7 giugno 1964 l'Inter si trova a giocare un'altra storica partita, quella dello spareggio per lo scudetto contro il Bologna allo Stadio Olimpico, dove, al termine di una partita preceduta da tantissime polemiche e tensioni, i nerazzurri vengono sconfitti per 2-0. A settembre si disputano la finali di Coppa Intercontinentale contro gli argentini dell'Independiente e si rende necessario disputare lo spareggio dopo la vittoria argentina per 1-0 a Buenos Aires e la risposta interista a Milano per 2-0. Il 26 settembre 1964 a Madrid l'Inter si laurea Campione del Mondo di club vincendo per 1-0 grazie ad un gol di Mario Corso nei tempi supplementari.



Per la Coppa dei Campioni 1964-65 l'Inter entra in gioco direttamente agli ottavi, dove stracciano la Dinamo Bucarest con un 6-0 a Milano ed 1-0 in Romania. Nei quarti di finale è la volta degli scozzesi dei Rangers Glasgow ad essere eliminati dallo squadrone di Herrera (3-1 ed 1-0). L'avversario della semifinale è il Liverpool campione d'Inghilterra che all'andata vince con un 3-1 che lascia poche speranze per il ritorno. Due settimane dopo, a San Siro, Herrera compie un miracolo caricando al massimo la sua squadra, che risponde con un 3-0 che passerà alla storia. ll primo gol è di Corso con una punizione "a foglia morta" che inganna il portiere inglese, il raddoppio è ad opera di Peirò che ruba la palla al portiere durante una difettosa rimessa in gioco ed la rete della vittoria è firmata da capitan Facchetti con un gran tiro dalla distanza. L'Inter ha così accesso alla finalissima che quell'anno si giocherà proprio a Milano. Il 27 maggio 1965 è il Benfica di Eusebio e Torres l'avversario da superare ed è un gol di Jair, con un pallone reso viscido dalla pioggia che il portiere lusitano non riesce a trattenere, a decidere la partita. Seconda Coppa dei Campioni per l'Inter in una storica stagione nella quale si vince anche lo scudetto davanti al Milan. A settembre si replica la sfida contro l'Independiente per la Coppa Intercontinentale e, dopo il 3-0 di San Siro all'andata, i nerazzurri resistono a Buenos Aires nel ritorno (0-0) ed il 15 settembre 1965 diventano per la seconda volta consecutiva Campioni del Mondo.



Nell'edizione 1965-66 della massima competizione europea l'Inter si presenta come squadra da battere ed arriva alla semifinale dove il Real Madrid si vendica della sconfitta di Vienna eliminando i nerazzurri. La squadra spagnola è completamente rinnovata e l'Inter sbaglia l'impostazione tattica nella partita d'andata, dove Helenio Herrera, mirando a contenere i danni, presenta una squadra molto difensiva che esce sconfitta per 1-0. Nel ritorno di Milano finisce 1-1 ed i nerazzurri sono eliminati. Fuori dal torneo europeo, i nerazzurri si riprendono lo scudetto perso nello spareggio di due anni prima e diventano Campioni d'Italia davanti al Bologna. Il risultato è storico per l'Inter, che conquista il decimo titolo della sua storia potendosi fregiare della stella sulla maglia nerazzurra.



L'anno dopo (1966-67) i nerazzurri si ripresentano con l'intenzione di riprendersi il titolo europeo e sono un rullo compressore. Arrivano in finale eliminando nel'ordine Torpedo Mosca, Vasas Budapest, Real Madrid (vincendo entrambe le partite) e CSKA Sofia (in tre incontri con spareggio a Milano). L'avversario nella finalissima di Lisbona sono i campioni di Scozia del Celtic Glasgow, squadra tipicamente offensiva, ed i nerazzurri arrivano all'appuntamento affaticati da una stagione durissima. Nonostante tutto, l'Inter si porta in vantaggio con un gol di Mazzola ma, nella ripresa, gli scozzesi pareggiano ed, a sette minuti dal termine, mettono a segno la rete della vittoria. Herrera viene accusato di essere troppo legato al suo schema catenacciaro, mentre gli scozzesi mostrano il modello di un gioco che verrà visto come "annuncio" del calcio totale. Pochi giorni dopo, cadendo clamorosamente a Mantova, i nerazzurri perdono anche lo scudetto, le critiche non mancano e ad Herrera viene imputato principalmente di puntare sempre sugli stessi uomini, non dando fiducia ai rincalzi, portando in questo modo la squadra stanchissima agli appuntamenti decisivi della stagione. Il "Mago" siederà sulla panchina nerazzurra ancora per un campionato giungendo quinto e, nel 1968, anche Angelo Moratti lasciava l'Inter cedendo la poltrona di presidente del club a Ivanoe Fraizzoli. Si conclude così la storia di una squadra tra le più leggendarie del calcio mondiale, sia come uomini che come risultati, che ha portato nella bacheca della società coppe e trofei nazionali ed internazionali che, per il momento, non sono stati più conquistati.





Trofei nazionali


• Campionato italiano: 18


1909-10; 1919-20; 1929-30; 1937-38; 1939-40; 1952-53; 1953-54; 1962-63; 1964-65; 1965-66 ;


1970-71; 1979-80; 1988-89; 2005-06;[5] 2006-07; 2007-08; 2008-09; 2009-10


• Coppa Italia: 6


1938-39; 1977-78; 1981-82; 2004-05; 2005-06; 2009-10;


• Supercoppa italiana: 4


1989; 2005; 2006; 2008

 
Trofei internazionali

 
• Coppa dei Campioni/Champions League: 3

 
1963-64; 1964-65; 2009-10

 
• Coppa Intercontinentale: 2

 
1964; 1965;

 
• Coppa UEFA: 3

 
1990-91; 1993-94; 1997-98




La storia del Milan



Il passato rossonero è ormai leggenda, come sono leggendari gli uomini che hanno contribuito a scriverlo: presidenti, allenatori e calciatori. Vittorie di immenso prestigio, ottenute in ogni parte del mondo testimoniano la forza e l´organizzazione di un gruppo senza eguali.

1899/1929

Il Milan Foot-Ball and Cricket Club viene fondato ufficialmente il 16 dicembre 1899. La sede viene inizialmente stabilita presso la Fiaschetteria Toscana di Via Berchet a Milano. La formazione disputa una sola partita contro il Torino alla sua prima stagione di attività ufficiale, ma nel 1900/1901 conquista già il suo primo scudetto. In breve tempo il Milan diventa la squadra più seguita in Lombardia e il secondo scudetto arriva solamente nel 1905/1906 e a questo si aggiunge subito il terzo la stagione successiva. Dopo travagliate vicissitudini societarie la presidenza passa a Pietro Pirelli, a tutt'oggi il Presidente più longevo della storia del Club. Risale a questo periodo anche l'inaugurazione dello stadio di San Siro.
1929/1949

Nel 1963 il nome della Società cambia da Milan F.C. a Milan Associazione Sportiva e, dopo diversi avvicendamenti ai vertici societari, la presidenza passa a Umberto Trabattoni che resta in carica dal 1940 al 1954. La squadra ha alti e bassi e solo raramente si posiziona ai vertici della classifica.

1950/1960

Con l'arrivo di Gipo Viani alla guida della squadra il Milan vince lo scudetto nella stagione 1956/57. Alla già competitiva rosa della squadra si aggiunge, nel 1958, José Altafini: il brasiliano conquista da subito il favore del pubblico e, insieme al "vecchio" capitano Liedholm, a Cesare Maldini e all'indimenticabile Pepe Schiaffino, vince il titolo italiano dopo un testa a testa emozionante con la Fiorentina.

1960/1970

Mentre gli anni precedenti erano stati caratterizzati dal predominio di calciatori stranieri, questo decennio vede come protagonisti calciatori italiani che acquisteranno anche fama a livello internazionale, a partire da Gianni Rivera. L'arrivo in panchina di Nereo Rocco segna l'inizio di un nuovo corso, caratterizzato da successi in tutte le competizioni. Il più emozionante è però senza dubbio la conquista della prima Coppa dei Campioni nella stagione 1962/63: il 23 maggio 1963 Cesare Maldini solleva al cielo il trofeo conquistato grazie alla vittoria 2-1 sul Benfica in finale. Altra stagione indimenticabile è nel 1967/68: il Milan vince lo Scudetto, partecipa alla Coppa dei Campioni la stagione successiva, vince il trofeo e conquista anche l'Intercontinentale, la prima della sua storia. In conclusione di decennio Gianni Rivera conquista, primo italiano nella storia del calcio, il Pallone d'Oro, il più prestigioso riconoscimento a livello personale per un calciatore.
1970/1985

Il periodo è uno dei periodi più bui della storia del Club e lascia al Milan solo poche soddisfazioni: in cima a tutte la conquista della Stella nel 1979, a testimonianza del dieci titoli nazionali vinti. Dopo la conquista dello scudetto della stella Gianni Rivera lascia il calcio giocato, ma rimane in seno alla Società con la carica di Vice Presidente. I primi anni Ottanta sono da dimenticare per i tifosi milanisti (due campionati di Serie B), ma vedono anche l'esordio in rossonero di una delle bandiere del Milan di oggi, Paolo Maldini.

1985/1995

Nel 1986 Silvio Berlusconi viene nominato 21° Presidente del Milan. Il Presidente decide di rifondare la squadra e si rivolge con decisione al mercato, tanto che già nel 1987 arriva la stagione della riscossa. Arriva in panchina Arrigo Sacchi, profeta della zona, del calcio totale, del pressing e della velocità e, con lui, glo olandesi Van Basten e Gullit. In campionato il Milan, dopo mesi di testa a testa col Napoli, conquista il suo 11° Scudetto proprio nello scontro diretto del primo maggio al San Paolo. Dopo Gullit e Van Baste, un altro olandese si aggiunge alla squadra dando vita all'indimenticabile trio. La stagione 1988/89 è dedicata all'Europa: in Coppa dei Campioni il Milan trionfa a Barcellona davanti a un pubblico quasi totalmente rossonero. Sacchi porta poi il Milan a trionfare anche a livello mondiale, conquistando per ben due volte la Coppa Intercontinentale. Nel 1992/93 Sacchi lascia la panchina a Fabio Capello e il Club di Via Turati si dedica ai successi nazionali. La squadra conquista infatti quattro Scudetti (di cui tre consecutivi), tre Supercoppe di Lega, una Champions League e una Supercoppa Europea.

1995/2007

La fine degli anni Novanta non è però all'altezza dell'inizio: il Milan, sulla cui panchina si succedono diversi tecnici, ridimensiona il proprio peso in Italia e in Europa ed è solo con Alberto Zaccheroni che, nel 1999, conquista il 16° Scudetto, proprio nell'anno in cui ricorreva il centenario della Soceità. L'arrivo di Carlo Ancelotti alla guida della squadra ha aperto per i rossoneri un nuovo ciclo vincente in Italia e in Europa, con la conquista, fra gli altri trofei, del 17° Scudetto e di due UEFA Champions League, l'ultima delle quali vinta proprio la scorsa stagione. Il Milan di oggi può vantare una rosa ricca di campioni dal talento mondiale e si conferma una tra le squadre più prestigiose nel panorama del calcio contemporaneo.




2 commenti:

  1. Poesia dedicata al Grande Torino!


    IN MEMORIA DI ALDO E DINO BALLARIN
    di Angelo Padoan

    Mai più vi rivedremo a noi vicino,
    campioni dell’Italia,
    campioni del pallone, Aldo e Dino,
    lo stile che lo ammalia
    Ancor le folle qui ricordan mesto
    O Aldo, o Dino, fiori
    Del calcio nostro italico codesto!
    Coglieste i vostri allori!
    Dei campi foste gli idoli adorati
    Usciste vincitori,
    campioni quattro volte proclamati,
    fra evviva, fasti e onori.
    Partiste entrambi un giorno per Torino,
    partiste qui da Chioggia
    seguendo ineluttabile il destino
    per cogliere una pioggia
    d’applausi, di scudetti e di trofei.
    Gridando “Forza Toro!”
    Gli stadi v’acclamaron come déi
    Cingendovi dall’alloro.
    Il triste condottiere della morte,
    il fato, v’attendeva
    segnando inesorabile la sorte
    e tutti vi abbatteva.
    Nel cielo vi rapì (mostro stregato)
    La morte immeritata,
    nel cielo di Superga annuvolato,
    voragine spietata!
    Ma siete voi pur sempre in mezzo a noi,
    o Aldo e Dino nostri,
    così vi ricordiamo, mentre voi
    giocando con i vostri
    colori dei granata vittoriosi,
    fratelli nella vita,
    fratelli nella morte baldanzosi
    vincete la partita!
    “Forza Aldo! Colpisci! Non mollare!
    Dai Dino, che parata!
    Più grinta Aldo! Entra, non pensare!
    Su Dino, che bloccata!
    Campioni nello sport e nella vita,
    o Aldo e Dino nostri,
    la vostra ambizione non è finita!
    E siete gli esempi nostri!
    Un monito, un messaggio ed un pensiero,
    di vita e di speranza,
    nel nome dello sport, ma quello vero,
    che tutti ci riunisce in fratellanza!

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  2. Cinema: film dedicato al Grande Torino!

    Titolo: Ora e per sempre
    Anno di uscita: febbraio 2005
    Regia: Vincenzo Verdecchi
    Scritto da: Carmelo Pennisi e Massimiliano Durante
    Cast: Gioele Dix, Enrico Ciotti, Kasia Smutniak, Dino Abbrescia, Luciano Scarpa, Anna Sante. Con la partecipazione straordinaria di Giorgio Albertazzi.
    Sito internet: www.oraepersempre.it

    Televisione: film tv dedicato al Grande Torino!

    Titolo: Il Grande Torino 
    in onda su RaiUno - 25 e 26 settembre 2005
    Regia: Claudio Bonivento
    Cast: Michele Placido, Remo Girone, Tosca d'Acquino ...
    I giocatori: Eusebio Castigliano (Francesco Venditti), Romeo Menti (Andrea Golino),Valerio Bacigalupo (Gian Felice Facchetti), Mario Rigamonti (Max Parodi), Guglielmo Gabetto (Massimo Molea), Ezio Loik (Antonio DeMatteo), Franco Ossola (Gualtiero Burzi), Virgilio Maroso (Francesco Gisotti), Giuseppe Grezar (Gian Paolo Gambi), Danilo Martelli (Fabrizio Croce), Aldo Ballarin (Marco Bonafaccia), Dino Ballarin (Matteo Taranto) e in testa capitan Valentino Mazzola (Giuseppe Fiorello).
    Sito internet: http://www.rai.it/raifiction

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