/**/ Associazione Culturale e Sportiva "Giuseppe Garibaldi": Don Michele Mamia Addis

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lunedì 21 dicembre 2009

Don Michele Mamia Addis

Don Michele Mamia Addis, morto nel 1855 a 81 anni, fu seppellito nel vecchio cimitero di La Maddalena, in una tomba con lapide e senza foto. Del resto, all'epoca, ben pochi all'isola erano stati fotografati. Di lui dunque non si conosce l'aspetto. Si tramanda che fosse basso, assai robusto, pelato, con gli occhiali e che "dalle sue orecchie pendessero due cerchietti". Tale uso era allora abbastanza normale anche se non sappiamo quanto potesse esserlo per un prete. Prudenza vuole quindi che il particolare sia da prendere con le pinze. Vicario di una parrocchia povera, costituita da pochi decenni, con scarse propietà e poche decime, "spesso si privava del necessario per farne delle elemosine". Pare fosse di buon carattere, "severo ma buono con tutti ed in specie con i poveri per i quali, diceva, grava maggiormente il peso della società umana", non disdegnava tuttavia il potere e i suoi riconoscimenti. Quando nel 1866, re Vittorio Emanuele II, con regio decreto, gli conferì il titolo di cavaliere, tanto se ne compiacque che non smise più, con umana vanità, di apporlo in tutte le firme ufficiali: Cavalier Michele Maria Addis, vicario perpetuo. E' stato scritto che il cavalierato glelo procurò Garibaldi del quale era amico. La cosa probabilmente è vera considerato che il Generale era all'epoca anche deputato del Regno. Il peroramento della "causa" tuttavia non dovette risultargli particolarmente difficile. Don Mamia infatti i galloni se li era guadagnati a pieno titolo in quegli anni di lotta e di polemica dura tra stato pontificio e regno sardo-piemontese prima e d'Italia poi. Nell'aprile del 1862 (un'anno prima era stata raggiunta l'unità d'Italia), il vicario capitolare Tomaso Muzzetto, di fatto vescovo di Tempio, aveva inviato una supplica a Papa Pio IX affinchè, per il bene supremo della chiesa, rinunziasse al potere temporale. Il documento fu sottoscritto da circa 50 sacerdoti della diocesi mentre un'altra cinquantina si rifiutarono. Tra i firmatari appare appunto il nostro don Mamia che così risolse il lacerante dramma di coscienza, comune all'epoca di molti cattolici, tra l'obbedienza al Papa e l'essere cittadino dello stato.

Le conseguenze canoniche furono assai gravi per tutti. Ma evidentemente i tempi erano ormai tali che le ire papali si smorzarono di li a poco. Tanto è vero che Muzzetto continuò a reggere la diocesi fino alla morte e che don Mamia nel 1877 fu "promosso" canonico parroco. Quando Garibaldi nel 1856 stabilì dimora a Caprera don Mamia era a La Maddalena già da un quarto di secolo. Nonostante il Generale avverrasse "la razza dei preti", col temo tra i due si instaurò un rispettoso, amichevole rapporto del quale c'è ne da idea la testimonianza che riportiamo: "al suo modesto desco... fu più volte il parroco cavalier Mamia Addis, di sentimenti liberalissimi. Un giorno l'invito cadeva nella vigilia del Corpus Domini. Oggi è vigilia disse il Generale sedendo. Rispose franco il reverendo Mamia: io dico di non badare a quel che entra piuttosto a quel che esce di bocca... e il pranzo consistettein un minestrone alla genovese e in un bollito di pesci". L’amicizia tra Garibaldi e don Mamia non fu ben vista dai diversi amici del generale, dalla massoneria locale e certamente fu guardata con cautela e preoccupazione dalla curia di Tempio e da Roma ove non è escluso che di tanto in tanto il nostro don Mamia, che pur prete era, inviasse qualche circostanziata relazione. Tra i suoi più acerrimi avversari le cronache ricordano Giovanni Basso e Luigi Gusmaroli, entrambi spretati che come tutti gli ex eccellono particolarmente in zelo. Gusmaroli in particolare non comprendendo i comportamenti di Garibaldi divenne sempre più aggressivo nei confronti del prete, fino al punto di indirizzargli qualche schioppettata, sia pure a scopo intimidatorio, lungo il sentiero di Caprera che portava alla casa bianca. Al nostro don Mamia il colpo riuscì invece col leggendario Maggior Leggero (Giovanni Battista Culiolo) il quale da accanito mangiapreti, ogni qualvolta lo incontrasse lo riempiva di insulti, improperi e si dice e si dice qualche sassata. Sentendosi avvicinare la fine il Maggior Leggero lo mando a chiamare. Veni Mamì, chi sagu cusa lasciu ma nun sagu cusa trou”. Non sappiamo se la frase fu proprio quella ma dovette esserlo nella sostanza. Sta di fatto che nel registro dei defunti della parrocchia in data 15 gennaio 1871 scritto in latino risulta che “omnibus sacramentis animam Deo reddidit Joannes Baptista Culiolo” (munito di tutti i sacramenti ha reso l’anima a Dio Giovanni Battista Culiolo). Firmato con Gutemberghiana grafia: Eques Michael Mamia Addis, Vicarius Perpetus. La cosa fu minimizzata dall’enturage di Garibaldi e dagli ambienti massonici e anticlericali isolani che con la presenza di Garibaldi andavano assumendo sempre maggiore importanza. Ma tant’è. “Il successo” certamente dovette galvanizzare don Mamia il quale, c’è da crederci, in qualche maniera dovette tentare anche col Generale che però, anche negli ultimi anni, non diede segno di cedimento. Il 2 giugno 1882 don Mamia non era nei dintorni di Caprera pronto ad un eventuale intervento in extremis, nonostante il generale fosse da tempo prossimo alla fine. Si ricorda invece che fosse impegnato nella processione di Sant’Erasmo da Formia per il quale all’epoca c’era particolare devozione all’isola. Era una serataccia con una ponentata coi fiocci e mentre la processione percorreva via Nazionale (poi Bassa Marina, oggi via Amendola) dirigendosi verso Cala Gavetta, un uomo a passo svelto si accostò al pro parroco Vico e gli disse “è mortu u Generai”. Don Vico sussurrò la notizia al vicario il quale, dopo un attimo di esitazione deviò la processione sul primo carruggio del Corso (che ancora non si chiamava Garibaldi) e di lì la ricondusse in parrocchia. Naturalmente nei registri parrocchiali, sulla morte di Garibaldi, non è attestato alcunché. Don Michele Mamia Addis era nato ad Aggius nel 1804, figlio di Pietro e Maria Addis. Studiò a Tempoi e qui fu ordinato sacerdote. A La Maddalena giunse ventisettenne nel 1831 in vice del parroco don Antonio Vico. Da poco la chiesa era stata completata e propri quell’anno il barone Des Geneys si aveva fatto arrivare direttamente da Genova l’altare maggiore. Trascorsi ormai i tempi eroici di Domenico Millelire, il trasferimento della sede della Marina sarda a Genova aveva determinato quella che oggi è denominata recessione. La popolazione che nel 1814 era di 2000 abitanti negli anni successivi era repentinamente calata tanto che nel censimento del 1838 era scesa a 1200 unità. Le cose, nonostante le aspettative e le promesse, non le migliorò la visita di re Carlo Alberto nel 1841, che accolto dalle autorità locali, dai due preti in pompa magna e da una popolazione in tripudio, assistette nella chiesa parrocchiale ad una solenne cerimonia. Divenuto parroco nel 1851, don Mamia nel 1856 ottenne dal sindaco Leonardo Bargone la casa di proprietà del comune attigua alla parrocchia che andò ad abitare con la perpetua Pagnetta. Il comune gliela concesse “per tutto il tempo che resterà a La Maddalena nella carica che attualmente ricopre… nell’immunità… del pagamento dell’affitto”. Intanto nell’arcipelago, sin dal 1852, era venuto a risiedervi il pastore anglicano Giorgio Yiermin (altri cittadini inglesi residenti a La Maddalena erano: Daniel Roberts e Hide Parcher, Richard e Clara Collns, James Webber). Ciò dovette essere per Don Mamia motivo di qualche preoccupazione. Il pastore infatti qualche proselito indigeno se lo fece tanto è vero che da allora di presenza evangelica nell’arcipelago ce né sempre stata. Da fare dunque il nostro Don Mamia certamente ne ebbe nel tentativo di salvare il “gregge” a lui affidato del quale tuttavia tendeva tendeva giustificarne i comportamenti convinto com’era che “i falli delle donne, dei fanciulli, e degli ignoranti sono sempre colpa dei mariti, dei padri e dei dotti”. Nel suo lavoro fu affiancato negli anni dai vice Domenico Tumaneddu, Silvestro Zicavo, Nicolao Sechi, e dal 1880 da Antonio Vico. A La Maddalena don Mamia rimase ben 54 anni, 34 dei quali da parroco. Quando vi giunse La Maddalena era un villaggio di mare e vi morì che era ancora un villaggio di mare. Tuttavia nel suo piccolo era già un coacervo di razze e nel suo porto sbarcarono i più disparati personaggi alcuni dei quali hanno fatto la storia. E che storia! Il destinò gli riservò l’onore e l’onere di entrare in contatto con tutti costoro. Morì il 15 gennaio del 1855 alla veneranda età di 81 anni. Era quasi cieco e da oltre un anno gli affari della parrocchia gli aveva presi in mano Antonio Vico già destinato a succedergli. Non conobbe la presenza massiccia della Marina che se n’era andata prima che lui arrivasse e ritornò alla grande pochi anni dopo la sua morte. Nel frattempo però si era sviluppata tutta la storia del risorgimento italiano e lui ebbe il privilegio di potersela far raccontare, a Caprera, dal suo massimo, popolare e amato protagonista.



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