/**/ Associazione Culturale e Sportiva "Giuseppe Garibaldi": Giovannibattista Culiolo

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lunedì 21 dicembre 2009

Giovannibattista Culiolo



Nacque a La Maddalena il 17 settembre 1813 da Silvestro e Rosa Fienga. Non aveva compiuto gli 11 anni quando si arruolò in Marina; per la sua straordinaria agilità e sveltezza gli fu dato il nome di "leggero". Dopo 15 anni di servizio nella regia armata, ottenne il grado di marinaio di 1° classe. Il 3 marzo 1839, avendo la sua nave fatto scalo a Montevideo, Leggiero disertò per seguire Garibaldi, di cui aveva inteso le gesta. Egli aveva anche appreso sulla nave gli ideali e i programmi della Giovine Italia; si rivolse perciò alla locale sezione comandata da Giovan Battista Cuneo, che lo arruolò nella 1° Legione Italiana. Insieme con Antonio Susini, fu imbarcato sulla piccola flotta di Garibaldi e si batté da prode in tutte le battaglie che questa, sempre impari di forze, dovette sostenere. Quando finivano le munizioni, Leggero gettava nei cannoni tutta la ferraglia che riusciva a racimolare e sparava sventagliate di ferri vecchi sui nemici. Tornato in Italia partecipò con Garibaldi a tutte le campagne col gradi di capitano: essi misero in atto, per la prima volta in Europa, la tattica della guerriglia imparata e sperimentata in America, che aveva il potere di gettare scompiglio e panico tra le file austriache abituate all'ordine classico della strategia militare del tempo. A Morazzone si videro 1.300 garibaldini scatenati mettere in fuga 18.000 austriaci! Leggero seguì il generale in Svizzera, poi a Nizza e a Genova: qui venne arrestato e condannato a morte per la sua diserzione dalla nave Regina a Montevideo. Ma poco dopo, per interessamento di Garibaldi lo ritroviamo col grado di maggiore alle sue dirette dipendenze. Il 27 aprile 1849 il Maggior Leggero entra in Roma alla testa dell'avanguardia garibaldina. Nella battaglia fu un leone: i suoi uomini rimasero galvanizzati dalla sua agilità, dalla fantasia dei suoi attacchi, dall'irruenza con cui affrontava più nemici per volta in corpo a corpo furibondi; e quindi la compagnia fu tra quelle che maggiormente contribuirono alla fuga delle truppe francesi verso Civitavecchia. La Repubblica Romana parve per un breve tratto essere salva. Ma Austria, Spagna e Regno di Napoli le si coalizzano contro: Garibaldi comandò una spedizione contro Napoli e il Maggior Leggero fu alla testa della 4° Centuria. Poi venne la battaglia decisiva di Roma, il 3 giugno, con il famoso episodio di Villa Corsini o Casino dei Quattro Venti, in cui costrinse i francesi alla fuga. Ma la posizione conquistata non è sostenibile per un pugno di uomini contro un esercito: il Colonnello Masina cade morto; nel cannoneggiamento terribile, viene ferito Goffredo Mameli, l'altro eroico sardo. Leggero resiste fino a notte inoltrata, quando deve ritirarsi ferito a sua volta al corpo, alla testa, a una mano. Ma raggiunse Garibaldi e con lui continuò a combattere per la difesa della porta di S. Pancrazio, finché cadde nuovamente ferito ad un piede. Seguì la necessaria ritirata dei garibaldini e il Maggior Leggero fu creduto morto. Invece si nascose, così ridotto, e soltanto il 29 giugno, cioè dopo 15 giorni, si presentò mezzo morto all'ospedale romano. Lo ricucirono alla meglio; ma il 14 luglio fuggì e si nascose di nuovo, perché il suo unico pensiero era quello di cercare di raggiungere il suo Generale. Gli ci vollero altri 14 giorni per essere in grado di stare in piedi, ma appena ciò fu possibile, partì a cavallo sulle tracce dell'armata garibaldina in fuga, seguendo la pista di uomini sfiniti, sfuggendo all'inseguimento delle pattuglie nemiche senza soste, giorno e notte. Ritrovò Garibaldi, con Anità già morente, il 1° agosto e ne seguì tutto il calvario fino alla maledetta pineta di Ravenna.: lì erano soli: l'"Eroe dei Due Mondi" nel momento più tragico della sua vita ebbe vicino soltanto il Maggior Leggero, che lo guidò tra boschi e acquitrini fino alla fattoria dei Raviglia, pianse con lui quando Anita spirò alle 19,45 del 4 agosto 1849. Poi, con infinita dolcezza lo sollevò da quel corpo dal quale non pareva non volersi staccare più, e dicendogli piano "Per i tuoi figli... per l'Italia", lo trascinò via, nella fuga. Dicono i testimoni che Garibaldi era affranto, spento, sfinito e che, "appoggiato al silenzioso e costante camerata delle sue battaglie, s'avviò nel buio affidandosi alla fedeltà delle sue guide". Quando, dopo la storica fuga attraverso l'Italia, Garibaldi e Leggero furono arrestati a Chiavari, ebbe inizio per entrambi l'esilio amaro. Siamo nell'altro secolo, attorno al 1860. A La Maddalena si sparse la voce che il postale in arrivo dal continente trasportava anche dei colerosi. Il Medico sanitario non ordinò la quarantena prevista suscitando le proteste degli abitanti. Il maggior Leggero indossata la sciabola corse sulla piazza minacciando di staccare la testa con una sciabolata l'imbelle sanitario. Questi, impaurito, si rifugiò in casa sprangando le porte e gridando aiuto. E ce ne volle per placare l'ira di Leggero, mutilato ad un braccio e con una mano che mancava di ben quattro dita e che sapeva far tremare ancora i più giovani di lui.



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