/**/ Associazione Culturale e Sportiva "Giuseppe Garibaldi": La trafila santalbertese

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lunedì 21 dicembre 2009

La trafila santalbertese

Il racconto della fuga di Giuseppe Garibaldi, attraverso la Romagna, nell'agosto del 1849, ha coinvolto molti luoghi e cittadini di parecchie città e borgate ed è difficile dire chi ha avuto più o meno meriti. Noi ci occuperemo in questo breve studio della trafila a Sant' Alberto, dove tredici cittadini si impegnarono in missioni rischiose e pericolose e dove alcuni, come il dottor Pietro Nannini ed il veterinario Pietro Fabbri, ebbero un ruolo rilevante non solo nella loro zona, ma come vedremo poi anche in tutto l'avvenimento. Venerdì,3 agosto 1849, mentre calava il sole, presso il podere Zanetto, nelle valli di Comacchio, il Generale con Anita, molto malata ed assai sofferente, stava valutando le diverse possibilità per uscire dalla difficile situazione in cui si era venuto a trovare; indossava pantaloni e gilet datigli da Nino Bonnet, il patriota di Comacchio, braccio e mente della trafila nel momento più delicato, che fu quello iniziale, ed una giacca di Antonio Patrignani, già tenente-colonnello della Guardia Nazionale ravennate ed allora gonfaloniere di Comacchio. Riceveva quindi 10 monete d'oro da Nino Bonnet, che insisteva per offrirgliene trenta e con Anita, in condizioni critiche, e con Leggero, saliva su una 'scorritora', una barca tipica delle valli, dal fondo piatto, mentre su un'altra, saliva Gaspare Matteucci, primo dei santalbertesi coinvolti nella trafila, capo delle guardie delle valli col delicato compito di guida vigile ed esperta per garantire la sicurezza del viaggio. Lo scopo era quello di arrivare alla fattoria Guiccioli, nei pressi di Mandriole. Conducevano la barca Girolamo Carli e Mariano Cavallari, detto Sgiorz. A mezzanotte le due barche giunsero alla «Lanterna», casotto di vigilanza, distante dal centro di Comacchio circa 800 metri. Qui fu utilizzata una barca di riserva con a bordo due guardie vallive, Michele Cavallai, detto Gerosalemme e Giuseppe Cinti detto Scozzola. Matteucci che aveva, come abbiamo già detto, la funzione di giuda, ordinò la partenza per il «Casone Piviero», posto sull'argine della Valle Agosta, dove la fermata si protrasse dalle 3 della notte alle 8 della mattina di sabato 3 agosto. Verso le 4 di quella mattina Matteucci corse a Comacchio a casa di Nino Bonnet sia per informarlo, sia per chiedere ulteriori disposizioni; Bonnet con decisione fulminea convocò a casa sua due mercanti di pesce, i fratelli Guidi, l'uno Michele detto Tetavac e l' altro Mariano, soprannominato Armabianca, entrambi di Comacchio.



Bonnet scriveva quindi un biglietto al Generale per avvertirlo che si sarebbe recato a Ravenna, dall'ingegner Giovanni Montanari, per organizzare le ulteriori tappe della fuga. Nella serata, si sarebbe fermato alla fattoria Guiccioli. I fratelli Guidi dovevano portare i fuggiaschi sull'argine del fiume Reno, o Po di Primaro, come si diceva allora. Di buon mattino Bonnet si avviava per andare a Ravenna, fermandosi però un attimo anche alla Fattoria Guiccioli per parlare con Giuseppe e Giovanna Ravaglia, informandoli che c' erano ospiti da ricevere. Dalla «tabarra» o capanna di Valle Agosta, il Generale, Anita e Leggero vennero condotti alla Chiavica di Mezzo, posta sull'argine sinistro del Po di Primaro, dopo avere percorso 18 chilometri di laguna. Alla Chiavica, due giovani, Benigno Samaritani ed Antonio Feletti, offrirono cibo ad Anita le cui condizioni di salute si erano, nel viaggio, molto aggravate. Michele Guidi, Tetavac, consigliava di far intervenire il dottor Pietro Nannini di Sant'Alberto, medico condotto e noto liberale, conducendolo alla fattoria dove dovevano recarsi. Garibaldi scriveva allora un biglietto per i fratelli Battista e Francesco Manetti, patrioti santalbertesi, affidandolo al Guidi, che si recava subito alla fattoria Guiccioli; qui si trovava Battista Manetti, detto Bunazza, che, in biroccino, andava al mercato del pesce di Primaro. Con questi terminava immediatamente al punto dove Garibaldi aspettava, poi, di gran carriera, si recava a Sant' Alberto per chiamare Pietro Nannini, col quale si fecero trovare presso la fattoria Guiccioli, all'arrivo del Generale, verso le ore 19 di quel 4 agosto, mentre Anita stava drammaticamente male. Il fattore dell'azienda, Stefano Ravaglia, era a Ravenna, ma il fratello Gaspare e la sorella Giovanna, avvertiti da Nino Bonnet, offrirono ai fuggiaschi ospitalità e soccorsi generosi; purtroppo la sorte di Anita era segnata. Pietro Fabbri, veterinario in Sant'Alberto, nel frattempo, si era recato a Ravenna, a casa di Giovanni Montanari. Il Montanari gli consigliò, nel tardo pomeriggio di quel 4 agosto, di tornare senza perdere tempo a Sant' Alberto, insieme con Pietro Vitali, con l'ordine di portare via immediatamente Garibaldi. Intanto alla fattoria Guiccioli, mentre calavano le ombre della sera, si viveva uno dei momenti più difficili di tutta la trafila: Anita era morta, e bisognava provvedere subito alla sepoltura. Gli Austriaci, in gran numero, battevano la zona alla caccia dei fuggiaschi. Nannini e Fabbri prendevano in mano la situazione, ed ordinavano a Stefano Ravaglia, che da poche ore era tornato da Ravenna, di seppellire in una zona sabbiosa, una "motta", poco lontano, la salma con l'aiuto di Luigi Petroncini e Pietro Patella. Alla fattoria, nel frattempo, Garibaldi si recava alla volta di Sant' Alberto con il biroccino di Nannini, mentre Leggero era su quello di Francesco Manetti. Qui venivano ricoverati nella casa di Giuseppe e Gaspare Matteucci, nell'attuale Via Po. Il paese era presidiato da ben duecento soldati austriaci, che stazionavano nella piazza posta poco lontano. Per questo, nel cuore della notte, si rese necessario uno spostamento dalla casa dei Matteucci, a quella di Antonio Moreschi, posta poco lontano, a pochi passi dalla chiesa parrocchiale. Alle prime luci dell'alba, Garibaldi e Leggero, venivano nascosti, passando da una porta posteriore, in un campo di granoturco nel retro della casa. Pietro Fabbri, coordinatore ed organizzatore principale della trafila santalbertese, affidava ad Ercole Saldini, detto Dighen, il compito difficile e pericoloso di condurre i fuggitivi fuori dal paese. Egli corrispose in pieno alla fiducia del Fabbri e li guidò con sicurezza fino all'argine destro del Po di Primaro dove erano attesi da Lorenzo Faggioli, detto Nason. Qui furono traghettati sulla riva sinistra del fiume, non prima che Leggero avesse cambiato il cappello di Garibaldi con quello del Faggioli. Percorsi tre chilometri, il gruppo arrivò alla Cà Bianca, poi, continuando il cammino, si giunse alla tenuta detta «Scorticata», quindi, ripassato il fiume, e percorso per un certo tratto l'argine destro, il gruppetto incontrò Stefano Ravaglia, che era accorso per informare il Generale che gli Austriaci stavano loro dando la caccia ed occorreva, senza indugio, inoltrarsi nella vicina pineta, dove era più facile nascondersi, e non essere scoperti. accorrevano cibo ed acqua, ed il Faggioli ritornava a Sant' Alberto, per provvedersi di viveri. Nello stesso tempo era necessario informare Fabbri di quanto stava accadendo; veniva quindi dato al Saldini l'appuntamento prossimo, vicino al ponte sul Lamone, sulla strada Romea, dove si sarebbero visti con le opportune istruzioni per la prosecuzione del viaggio. Saldini, che, in quel momento, aveva tutta la responsabilità operativa, assieme a Garibaldi e Leggero, con cautela si avvicinava al Lamone. Finalmente alle 11,00 di quel 5 agosto i tre entravano nella pineta di San Vitale detta «Chiavichino»: e di lì in un altro punto dove il bosco era ancora più folto e fitto chiamato «Forte Michelino», dove il gruppetto giunse oramai a notte inoltrata. Saldini allora si recava al punto convenuto presso il fiume Lamone, dove si doveva incontrare con il Faggioli, ma giuntovi vi trovava Gaetano Montanari, detto Sumarèn, al quale comunicava che erano cambiate le disposizioni: Garibaldi e Leggero dovevano essere condotti al casotto del Taglio dove aspettavano Faggioli e Pietro Fabbri. Dopo una faticosa marcia nella notte tra il5 e il6 agosto, lunedì giungevano all'incontro con Fabbri e Faggioli. Decisero insieme di attraversare il Taglio; Pietro Fabbri comunicò a Garibaldi che i patrioti di Ravenna stavano organizzando una fitta rete di nascosti rifugi per condurlo in salvo, attraverso Modigliana, colla collaborazione di don Giovanni Verità, attraverso la Toscana.



I particolari definitivi del viaggio erano ancora in discussione e poco dopo egli, insieme con il Faggioli, decise di ripartire per ricevere a Sant'Alberto le ultime disposizioni. Fabbri assicurò che sarebbe tornato nel pomeriggio per un ultimo definitivo colloquio col Generale, mentre Saldini provvedeva a condurre il Generale in una località detta Madonna dello Staggio del Bardello, più lontana dalla strada Romea e quindi più sicura. Nel pomeriggio Fabbri e Faggioli, dopo essere stati a Sant'Alberto, tornarono al rifugio e in quel momento Pietro Fabbri usò le sue armi migliori per convincere il Generale a seguire il piano che lui, insieme ai patrioti ravennati, aveva predisposto. Quando fu oramai notte inoltrata Saldini, Faggioli e Fabbri lasciarono il Generale e Leggero; in quel momento Garibaldi, che conosceva e leggeva nel cuore degli uomini e sapeva apprezzare generosità ed umanità, donò il suo mantello a Saldini, che lo conservò sempre con il rispetto dovuto ad una reliquia. La grande avventura dei santalbertesi era finita. La trafila era affidata nelle mani dei patrioti ravennati: tutti tornarono alle loro abituali attività, alla solita vita grigia della povera gente di quei tempi, ma il legame fra i patrioti locali e Garibaldi era oramai saldo e indissolubile. Nessuno mai si pentì o disonorò nella vita quotidiana dei mesi e degli anni successivi il grande gesto compiuto. Vennero poi gli anni gloriosi del 1859 - 1860: Nannini e Montanari partirono ancora una volta da volontari, ma la loro memoria restava legata soprattutto alla trafila. I più continuarono a vivere, anche negli anni a venire, nella solita miseria, senza nulla pretendere per il gesto compiuto. L'Italia si ricordava di loro solo nelle celebrazioni ufficiali, per un atto di dovuto rispetto e nulla più. Solo molti anni dopo, e a pochi, che si trovavano in uno stato di drammatica povertà, fu concessa una modesta pensione, grazie alI 'interessamento di Alfredo Baccarini, deputato ravennate, che a Garibaldi era legato da grande amicizia.







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