Nel testamento di Garibaldi si legge che voleva essere cremato in un
terrazzino poco sotto a dove si trova la tomba«A settembre apriremo la tomba di Garibaldi e scopriremo se davvero lì,
a Caprera, riposa ancora il suo corpo imbalsamato». A dare l'annuncio è Anita
Garibaldi, battagliera pronipote dell'eroe dei due mondi e presidente
dell'associazione a lui intitolata, insieme a Silvano Vinceti, presidente del
Comitato nazionale per la valorizzazione dei beni culturali e ambientali, che
già si è occupato del ritrovamento dei resti Caravaggio e ora della Monna Lisa
ritratta da Leonardo.La decisione arriva dopo «due anni di attesa» e con il consenso di gran
parte degli eredi, oltre che una raccolta di firme da Massimo D'Alema a
Stefania Craxi, nonostante il patrocinio dell'allora ministro dei Beni
culturali Sandro Bondi fosse arrivato già nel 2010. «Non abbiamo proceduto per
non essere accusati di speculazione in pieno festeggiamento per i 150 anni
dell'unità d'Italia», spiega Vinceti, anche se in realtà la querelle sui resti
del generale parte sin da quando si spense a Caprera, il 2 giugno 1882. «Il mio
bisnonno fu imbalsamato e sepolto lì contro il suo volere - spiega la signora
Anita -. Ho visto io stessa il testamento. Voleva essere cremato in un
terrazzino poco sotto, dove aveva raccolto legni profumati. Sognava che ogni
italiano prendesse un po' delle sue ceneri per seminarle nelle varie parti del
paese e dar vita così alla nuova Italia». E se l'aneddotica racconta
dell'imbalsamazione tardiva e di ben cinque tentativi falliti prima di riuscire
a chiudere la tomba, a complicare le cose ci si misero la ragion di Stato,
oltre che di famiglia, tra chi voleva rispettare le sue ultime volontà e chi,
come l'allora presidente del Consiglio Francesco Crispi, chiese
l'imbalsamazione, magari per traslare la salma a Roma, al Pantheon o al
Campidoglio, come si conveniva ai grandi eroi del paese.Centotrent'anni dopo la tomba è ancora lì. «E la salma?», chiedono gli
eredi. «Mio padre mi disse che nel 1932 la vide, seppure con un braccio
malmesso», dice Anita, raccontando però delle molte opposizioni alla
riesumazione e di telefonate di minaccia arrivate «anche questa notte alle tre.
Io non ho paura. Tutti hanno diritto a prendersi cura delle salme dei proprio
antenati - incalza -. È stato fatto anche per Padre Pio, Carducci e Mazzini.
Perché noi no?». Il dubbio è, appunto, che «Garibaldi lì sotto non ci sia».
L'equipe di Vinceti composta da antropologi e imbalsamatori è pronta a
operaree, se necessario, a confrontare il dna dei resti con quello di Claudio
Garibaldi, diretto discendente del generale. «La sovrintendenza di Sassari -
dice Vinceti - prenderà atto del patrocinio del ministro, da cui dipende. Non
so cosa troveremo. Presumo le spoglie di Garibaldi, ma se si verificasse una
questione, non piccola, di sottrazione sarà atto dovuto coinvolgere la
Procura». Che la tomba sia stata manomessa negli anni, per Anita non v'è
dubbio. «Ma tutto il mondo ha diritto di sapere se lì c'è Garibaldi o un
pastorello sardo - commenta -. Se poi non vi fosse proprio nulla vorrebbe dire
che qualcuno ha esaudito le sue volontà». Altrimenti, conclude Vinceti, «stiamo
preparando un sondaggio agli italiani: volete lasciarlo lì o cremarlo come era
suo desiderio?».
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lunedì 6 agosto 2012
sabato 4 agosto 2012
Giuseppe Bandi
Giuseppe Bandi dopo l’impresa dei Mille
La vita del giornalista garibaldino dopo l'unificazione dell'Italia Dopo l’incontro di Teano del 26 ottobre 1860, Garibaldi – sempre più invischiato dalla “mutabilità politica” di Vittorio Emanuele – rinunciò definitivamente ai suoi progetti di prosecuzione della guerra.Da ricordare la battaglia sul Volturno del 1 ottobre 1860, ove rifulse il genio strategico di Garibaldi che respinse definitivamente l’offensiva borbonica. Altro epico scontro fu quello di Capua, il 2 novembre successivo. In entrambe le battaglie Giuseppe Bandi fu valoroso in ogni momento degli scontri, combattendo nella Brigata del Generale Corte.I borbonici con il loro re Francesco II, si asserragliarono a Gaeta, che venne posta sotto assedio dall’esercito piemontese il 5 novembre 1860 e capitolò dopo tre mesi, il 14 febbraio 1861.E dopo tutti i successi ottenuti, venne il momento di separarsi da Garibaldi, essendo ormai finita la guerra insurrezionale.Restò in Bandi – come nella maggior parte degli appartenenti al gruppo iniziale dei Mille – il rammarico e l’amarezza per non aver potuto proseguire alla conquista di Roma ed alla liberazione di Venezia. Giuseppe Bandi si imbarcò a Napoli con il suo battaglione la sera del 22 dicembre 1860, sul piroscafo Principe Umberto e sbarcò a Livorno la sera della vigilia di Natale.Terminata la campagna, il Bandi fu assegnato al 5° Battaglione della 1° Brigata, 16° Divisione dell’Esercito dell’Italia Meridionale con il grado di Maggiore. Nel febbraio del 1861 Bandi venne trasferito a Torino. In quel periodo aveva due precisi obiettivi personali, ovvero definire stabilmente la sua posizione militare e proseguire quindi il proprio impegno fino alla completa liberazione dell’Italia.La situazione all’interno dell’esercito era difficile per gli ufficiali provenienti dalle truppe di Garibaldi. Essi infatti erano disprezzati dai loro colleghi dell’esercito piemontese. Bandi più volte affermò che gli ufficiali sabaudi altro non erano che “signorini in divisa” usciti dalle scuole di formazione militare e che erano divenuti ufficiali solo in conseguenza dell’anzianità di servizio.Ben altra cosa erano gli ufficiali di Garibaldi, i quali – sosteneva il Bandi – avevano guadagnato il grado sul campo di battaglia, con l’ardimento e lo spirito di sacrificio. Queste idee del Bandi non piacquero alle autorità militari piemontesi. Venne perciò trasferito a Biella nel vercellese, ove venne a trovarsi in condizioni di maggior isolamento.
venerdì 3 agosto 2012
Milesi Mojon Bianca
Milano, 1790 – Parigi, 1849
Letterata e patriota. Figlia di Elena Milesi Viscontini, cantata dal Porta, ricevette un'educazione accurata e si emancipò presto da molti dei vincoli tradizionali che limitavano l'attività delle donne nelle famiglie della buona borghesia lombarda.Dopo la restaurazione austriaca iniziò a collaborare con Federico Confalonieri al tentativo d'introdurre in Lombardia le scuole di mutuo insegnamento.Fu amica di Melchiorre Gioia, visitandolo assiduamente nel carcere quando nel 1820 fu arrestato. A sua volta la Milesi svolse un'intensa attività cospirativa e, come la sorella di sua madre, Matilde Dembowski Viscontini, tanto ammirata da Stendhal, e altre cosiddette «giardiniere», fu oggetto di persecuzioni da parte della polizia austriaca, alle quali si sottrasse nel 1822, fuggendo a Parigi.Prima però di stabilirvisi soggiornò a Genova, dove sposò il medico Charles Mojon. In Francia svolse un'attività di sostegno a favore dei profughi italiani e in seguitò entrò in contatto con militanti mazziniani collaborando al giornale «L'Italiano».Fu anche oggetto di vive ostilità, come nel caso del gruppo che faceva capo ai coniugi Arconati, per essere il marito Charles Mojon medico di casa di Madame de Feuchères, avventuriera implicata nella morte violenta del duca di Borbone Condé.Non venne mai meno alla Milesi la stima di Alessandro Manzoni, dal quale, per le Prime Letture, fu qualificata «madre della patria». In Francia attese allo sviluppo degli asili d'infanzia e pubblicò parecchi libri educativi, finché fu colpita dal colera che la uccise il medesimo giorno del marito.
mercoledì 1 agosto 2012
Massarani Tullo
Mantova, 1826 – Milano, 1905
Letterato e uomo politico. Cospiratore, esule dal 1848 al 1850 in
Francia e in Svizzera, tornato in Lombardia collaborò al «Crepuscolo» di Carlo
Tenca e al «Vesta Verde» di Cesare Correnti.
Deputato dal 1860 al 1869, senatore dal 1876, fu buon intenditore d'arte
(era stato discepolo di Gerolamo Induno); nel 1878 presiedette la commissione
giudicatrice dell'esposizione artistica di Parigi e scrisse il saggio L'arte a
Parigi.Fu socio corrispondente dei Lincei (1876). Instancabile lavoratore,
scrisse moltissimo (Opere, in 24 voll., 1906-11) con agilità ed eleganza. Ha il
merito di aver fatto conoscere Heine agli italiani e di aver divulgato in
Italia le opere di scrittori europei poco conosciuti. I suoi studi più
convincenti sono forse quelli su Tenca e Correnti.
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