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lunedì 21 dicembre 2009

Pietro Micca




Pietro Micca (Sagliano Micca, 6 marzo 1677 – Torino, 30 agosto 1706) è stato un militare italiano.Arruolato come soldato-minatore nell'esercito del Regno sabaudo, è storicamente ricordato per l'episodio di eroismo nel quale perse la vita e che consentì alla città di Torino di resistere all'assedio del 1706 da parte delle truppe francesi.
Poco si sa sulla sua persona prima del gesto, tranne che proveniva da famiglia modesta. Nella sua città natale, Sagliano (piccolo centro della bassa Valle Cervo unita all'antica Andorno Cacciorna - oggi Andorno Micca - divenuto in seguito Sagliano Micca) esiste ancora la semplice casa nella quale abitava, situata all'interno di uno dei tipici cortili del Piemonte. Un museo a lui intitolato, dedicato al suo gesto e al memorabile assedio, si trova a Torino.
Nella notte tra il 29 e il 30 agosto 1706 - in pieno assedio di Torino da parte dell'esercito francese - forze nemiche entrarono in una delle gallerie sotterranee della Cittadella, uccidendo le sentinelle e cercando di sfondare una delle porte che conducevano all'interno. Pietro Micca - conosciuto con il soprannome di Passepartout - era di guardia ad una di queste porte insieme ad un commilitone.
I due soldati sentirono dei colpi di arma da fuoco e capirono che non avrebbero resistito a lungo: decisero così di far scoppiare della polvere da sparo (un barilotto da 20 chili posto in un anfratto della galleria chiamata "capitale alta") allo scopo di provocare il crollo della galleria e non consentire il passaggio alle truppe nemiche.
Non potendo utilizzare una miccia lunga perché avrebbe impiegato troppo tempo per far esplodere le polveri, Micca decise di impiegare una miccia corta, conscio del rischio che avrebbe corso. Istintivamente, quindi, allontanò il compagno (con una frase che sarebbe diventata storica: «Alzati, vai e salvati, che sei più lungo di una giornata senza pane»[1]) e senza esitare diede fuoco alle polveri, cercando poi di mettersi in salvo correndo lungo la scala che portava al cunicolo sottostante.
Il corpo di Pietro Micca fu ritrovato senza vita a quaranta passi di distanza, dove fu ucciso dalle esalazioni velenose dell'esplosione. L'ubicazione della scala su cui avvenne l'eroico gesto si è avuta soltanto nel 1958 grazie alle ricerche del capitano Guido Amoretti, appassionato archeologo e studioso di storia patria. A lui si deve l'ideazione del Museo Pietro Micca e dell'assedio di Torino del 1706.
Secondo il conte Giuseppe Maria Solaro della Margherita, all'epoca comandante della guarnigione di Torino, il sacrificio della sua vita è da addebitarsi più ad un errore di calcolo della lunghezza della miccia che ad una deliberata volontà di sacrificare la propria vita.
Come ricompensa per il sacrificio di Pietro Micca il duca Vittorio Amedeo II assegnò alla vedova, Maria Pasqual Bonino (sposata il 29 ottobre 1704), un vitalizio di due pani al giorno. La coppia aveva anche un figlio, Giacomo (stesso nome del padre di Pietro), di appena 11 mesi

Ciro Menotti




Nato a Carpi (MO) nel 1798, da una famiglia della borghesia imprenditoriale, Ciro Menotti aveva ampliato l’azienda familiare, fondando a Modena una filanda e una ditta di spedizioni, che avevano il loro principale mercato a Londra. Nella capitale inglese Menotti era entrato in contatto con i profughi liberali italiani ed era stato individuato da Enrico Misley come un possibile tramite fra i rivoluzionari dell’emigrazione e il duca di Modena Francesco IV.
Il suo ruolo divenne centrale nella cospirazione modenese alla fine del 1830, quando riuscì a organizzare una serie di comitati insurrezionali a Bologna, Firenze, Parma e Mantova. Il 12 dicembre 1830 inviò a Misley, a Parigi, le sue Idee per organizzare delle intelligenze fra tutte le città d’Italia, un programma insurrezionale mirante a dare all’Italia ‘indipendenza, unione e libertà’, sotto il governo di una “monarchia rappresentativa”, con Roma capitale e un sovrano scelto da un congresso nazionale.
Il progetto di Menotti incontrò diversi ostacoli. A Parigi si andava rafforzando fra gli esuli l’ipotesi, sostenuta da Filippo Buonarroti, di una rivoluzione repubblicana, e il governo orléanista mandava messaggi ambigui circa la sua intenzione di far rispettare il principio del non intervento. A Modena Francesco IV fingeva di assecondare Menotti, mentre lo utilizzava come fonte di informazione sui preparativi rivoluzionari. A Roma si progettava una cospirazione indipendente, guidata da Luigi Napoleone, la cui trama venne scoperta per una delazione che portò all’arresto dei principali cospiratori. Il 3 febbraio 1831, alla vigilia dello scoppio dell’insurrezione, i soldati di Francesco IV riuscirono a sorprendere e a catturare Menotti, che dopo un processo sommario fu impiccato a Modena il 26 maggio.

Carlo Cattaneo




Seguendo le orme di altri celebri esuli del Risorgimento italiano, nel novembre del 1848 giunge a Lugano Carlo Cattaneo, uno dei principali protagonisti delle Cinque Giornate di Milano e "forse una delle figure più belle del suo tempo", come disse di lui Indro Montanelli. Nella città sulle rive del Ceresio, l'intellettuale milanese prende dimora nella casa di campagna della famiglia Peri, a Castagnola, già riparo per altri illustri rifugiati, come Taddeo Kosciusko, l'eroe in esilio dell'indipendenza polacca. Qui Cattaneo visse fino alla sua morte, nel 1869.
Nato nel 1801 nel capoluogo lombardo da una famiglia della media borghesia, Cattaneo inizia la sua vita "pubblica" nel 1820, quando è nominato professore di grammatica latina. Nel 1824 si laurea in diritto presso l'Università di Pavia e nel 1835 lascia l'insegnamento per dedicarsi all'attività pubblicistica, spendendo le sue energie nel promuovere il progresso, ad esempio in ambito ferroviario, sostenendo la linea Milano-Venezia. Del 1837 la fondazione dell'importante rivista "Il Politecnico". Fino al 1848 si occupa poco di politica. Spinto dai suoi amici, durante l'insurrezione contro gli austriaci (18-22 marzo 1848) entra a far parte del Consiglio di Guerra, dirigendo le operazioni militari. Al ritorno degli austriaci, dopo aver cercato di organizzare l'ultima resistenza a Lecco, Bergamo e Brescia, ripara dapprima a Parigi, dove cerca di fare pressioni per un intervento francese, e poi in Svizzera, accompagnato dalla moglie, l'anglo-irlandese Anna Woodcock. La Svizzera, e in particolar modo il Ticino, non erano realtà estranee a Carlo Cattaneo. Nel 1815 aveva conosciuto Stefano Franscini, suo compagno di studi al Seminario Arcivescovile di Milano, con il quale, nel 1821, intraprende un viaggio a Zurigo. Eletto nel 1848 nel primo Consiglio federale, il liberale radicale ticinese intuisce il ruolo che Cattaneo può svolgere nell'immane compito di fare del cantone uno Stato moderno. Una missione che, pur priva di onori e cariche, il milanese adempierà pienamente. Oltre a formare una generazione di studenti -dal 1852 è docente di filosofia al Liceo di Lugano- Cattaneo lascia un'impronta indelebile in Ticino. Collabora attivamente a decine di iniziative per grandi opere di progresso tecnico, scientifico, agricolo ed industriale. E' lui, ad esempio, ad avviare uno studio per la bonifica del Piano di Magadino, per il quale vede un'enorme potenzialità. Assieme all'ingegnere Pasquale Lucchini, svolge un ruolo fondamentale nel convincere gli esperti svizzeri e stranieri a preferire la variante Gottardo, piuttosto che quella del Lucomagno, per il grande traforo ferroviario alpino che si sta progettando. Per il suo impegno, le autorità ticinesi lo ricompenseranno nel 1858, accogliendolo come cittadino onorario. Le attività ticinesi non impediscono a Cattaneo di rimanere attivissimo per la causa d'Italia. Appena giunto in Svizzera pubblica l'Insurrezione di Milano. In seguito inizia la collaborazione con la Tipografia Elvetica di Capolago, una stamperia d'importanza capitale per il Risorgimento italiano, da dove escono libri di storia e saggi politici favorevoli all'Unità. Dal 1859, dopo la seconda guerra d'indipendenza, ritorna attivamente nella vita politica italiana. Nel 1860 viene eletto una prima volta deputato, ma non partecipa mai ai lavori. Rifiutandosi di prestare giuramento alle istituzioni sabaude e al centralismo che rappresentavano, Cattaneo non vuole infatti venire meno al suo credo federalista e repubblicano. Dalla sua casa di Castagnola continua a svolgere, fino alla sua morte nel febbraio del 1869, il ruolo d'ispiratore dell'opposizione democratica. "L'Italia –scriveva nel 1850- è fisicamente e istoricamente federale". "E' la questione del secolo, o l'ideale asiatico o l'ideale americano e svizzero", aggiungeva, intendendo con il primo il centralismo amministrativo vecchio stampo, dispotico e poco liberale, e con il secondo i nuovi orizzonti della federazione e della libertà. "Congresso comune per le cose comuni; e ogni fratello padrone in casa sua", amava ripetere. Un'aspirazione, questa di Cattaneo, ritornata d'attualità negli ultimi anni con l'avvento sulla scena politica italiana della Lega d'Umberto Bossi e delle sue rivendicazioni autonomiste. L'ammirazione che Cattaneo portava allo Stato federale svizzero era dovuta soprattutto al fatto che grazie a questa struttura ogni Cantone poteva fare di più per la causa comune. A uno dei suoi avversari, che spregiativamente aveva definito i cantoni elvetici "repubblichette", così rispondeva: "Hai visto la repubblichetta di Vaud, che alla dimanda di nove battaglioni risponde offrendone venticinque! E il Vaud fa duecentomila anime, poco più della provincia di Pavia! Di questa misura le repubbliche d'Italia potrebbero dare più di tremila battaglioni".

Buonarroti Filippo



(Pisa 1761 - Parigi 1837)
Rivoluzionario e teorico politico francese, di origini italiane.
Uno dei più noti rivoluzionari europei del primo Ottocento.
Trasferitosi in Corsica allo scoppio della Rivoluzione francese, fece propaganda politica diffondendo gli ideali rivoluzionari e manifestando un pensiero prossimo alle posizioni giacobine di Robespierre, con una pubblicazione 'L'amico della libertà italiana'.
Tra i vari incarichi poi ottenuti nei vari uffici del governo rivoluzionario, fu inviato a Oneglia come commissario politico, ma fu destituito dopo il colpo di stato del Termidoro, che segnò la caduta di Robespierre; arrestato per un breve periodo, conobbe in carcere Babeuf abbracciando la sua filosofia socialista e la sua proposta di riforma agraria, e quando uscì dal carcere, organizzò con lui la congiura chiamata "degli eguali".
Scoperto dalle autorità, fu condannato alla deportazione. Graziato, iniziò la sua vita di esule al confino; lunghi anni (37) che scontò inizialmente in varie città dell'impero francese, poi in Svizzera a Ginevra (fino al 1814), poi a Bruxelles (1824) e infine ritornò a Parigi (1830), sempre sperando di realizzare una rivoluzione europea su basi repubblicane e comuniste.
Iniziando proprio da Ginevra, luogo di residenza pressoché ininterrotta dal 1806, diede impulso ad alcune società segrete di carattere massonico, con programmi di radicale egualitarismo con molti seguaci anche in Italia (come l'Adelfi, Sublimi Maestri Perfetti, Mondo e quella più nota, la setta segreta dei Filadelfi).
Anche dopo i fallimenti dei moti del 1820 e del 1821 rimase fedele a un illuminismo di matrice rousseauiana e comunistica.
Nel 1828 pubblicò la sua opera più conosciuta, La congiura per l'eguaglianza, o di Babeuf.
Un nostalgico ricordo di quell'evento, un ripensamento del ruolo della rivoluzione francese, e un panorama completo delle tensioni che hanno investito tutta l'Europa negli ultimi trent'anni.
Lontanissimo dai programmi di Balbo (morirà anche lui quest'anno), e da quelli di Gioberti, per l'Italia, Buonarroti progettò una rivoluzione repubblicana che non scendesse con nessun compromesso con i sovrani né con la Chiesa (un obiettivo comune a quello di Mazzini i cui rapporti non erano stretti ma nemmeno distaccati).
C'è da dire però, che tutti i movimenti cospirativi italiani (compresi quelli europei) rimasero quasi sempre estranei alla ideologia cara al Buonarroti. Come vedremo negli anni che seguirono, nei noti moti italiani, l'orientamento di tutti i gruppi iniziava a mantenersi fermo sul costituzionale moderato accellerando su questa strada nel '47-48. Più tardi Buonarroti (nel 1834) si allontanò anche dai mazziniani pur avendo - cone accennato sopra - qualcosa in comune: il programma repubblicano. Infatti dopo la rivoluzione di luglio del 1830, iniziò il contrasto con Mazzini. Si stabilì im quell'anno a Parigi, dove continuò a tenere le fila di organizzazioni rivoluzionarie attive all'estero, in particolare in Italia, occupandosi nello stesso tempo delle prime società operaie di stampo socialista. Sempre più isolato, morirà infine a Parigi il 17 settembre del 1837, proprio mentre Mazzini - perchè espulso dalle autorità - è costretto a lasciare la Svizzera e rifugiarsi in Inghilterra.
Buonarroti pur quasi dimenticato nei suoi ultimi anni, lasciò una forte impronta della sua ideologia comunistica; idee che saranno poi riprese dal socialismo-comunismo utopistico (Cabet (La repubblica di Icaria), Dezamy ecc.), e poi da quello scientifico marxista come programma di emancipazione della società (Blanc, Barbes o del "muscoloso" Blanqui, che il Marx giovanile lo ha già adottato come simbolo vivente della sua a venire teorizzazione "lotta di classe". Ma Marx é ancora giovane e sta ammirando un po' tutti; quelli gia estinti (Babeuf, Buonarroti ecc. ) e i suoi contemporanei (Proudhon, Blanqui, Blanc, Blanqui, Karl Grun, Comte ecc. - Da ognuno mutua qualcosa).
Filippo Buonarroti divulgò, dopo il suo esilio dalla Francia, le idee di Comunismo egualitario di Gracchus Babeuf