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martedì 14 giugno 2016
Il gioco sottile di Cavour e i sogni di Napoleone III
Nella zona di confine tra Lombardia e Veneto, lungo una linea estesa per una ventina di chilometri da nord e sud tra le località di San Martino e Solferino, il 24 giugno 1859 si svolse una delle battaglie decisive per la nostra vicenda risorgimentale. Il sanguinoso scontro fra oltre 200 mila uomini, segnato da combattimenti protrattisi dall'alba al tramonto, rappresentò, infatti, il momento culminante di quel lungimirante piano diplomatico messo in atto negli anni precedenti da Cavour per trascinare la Francia di Napoleone III a fianco del Regno piemontese in un'«avventura» italiana che doveva prevedere l'allontanamento dell'Austria dalle nostre regioni settentrionali. Si trattava, cioè, di suscitare nell'imperatore francese il sogno di rinverdire le imprese del suo grande antenato, consentendo la nascita nella penisola di una confederazione di Stati sotto l'influenza di Parigi. Ma proprio le vittorie ottenute dai piemontesi a San Martino e dai francesi a Solferino segnarono una svolta politica fondamentale, dando ulteriore consistenza ai movimenti insurrezionali dei ducati padani, delle legazioni pontificie e della Toscana, ben decisi, al contrario, a spingere per un'annessione sotto la corona di Vittorio Emanuele. Fu per questo, insieme alle preoccupanti notizie di movimenti di truppe prussiane sul Reno, che l'imperatore decise di interrompere l'avanzata delle sue truppe verso il Veneto e di proporre a Vienna un armistizio (firmato a Villafranca), provocando la delusa reazione e le dimissioni di Cavour . Gli oltre trentamila morti di quella giornata e il drammatico spettacolo dei feriti abbandonati sul terreno ispirò allo svizzero Henry Dunant l'idea della Croce rossa internazionale, che iniziò di lì a poco (1864) a svolgere la sua benefica opera di assistenza sanitaria in pace e in guerra.
sabato 7 maggio 2016
Manfredo Fanti
Generale e patriota. Quando scoppiò l'insurrezione nell'Italia centrale (1831), partì da Modena per combattere gli austriaci. Esule in Francia e poi in Spagna ebbe il grado di colonnello e le funzioni di capo di stato maggiore del comando generale di Madrid.Rientrato in Italia nel 1848 ebbe dal governo provvisorio di Milano l'incarico di mettere in stato di difesa la città di Brescia. Fu eletto deputato al Parlamento subalpino e al comando di una brigata prese parte nel 1855 alla spedizione di Crimea.Fece la campagna del 1859. Al tempo delle annessioni ebbe l'incarico di organizzare l'esercito della lega dell'Italia centrale. Da ministro della Guerra ordinò il primo esercito del Regno d'Italia.
domenica 24 aprile 2016
Ciro Menotti
(Carpi, 22 gennaio 1798 - Modena, 23 maggio 1831)Affiliato alla Carboneria fin dal 1817, maturò fin da giovane un forte sentimento democratico e patriottico che lo portò a rifiutare la dominazione austriaca in Italia. Affascinato dal nuovo corso del re Luigi Filippo d'Orléans, dal 1820 tenne frequenti contatti con i circoli liberali francesi: l'obiettivo era quello di liberare il ducato di Modena dal giogo dell'Austria.Modena era allora governata dal duca Francesco IV d'Asburgo-Este, arciduca d'Austria. Egli reputando il ducato di Modena troppo piccolo per le sue ambizioni coltivava rapporti diplomatici con i diversi stati europei e manteneva una corte sfarzosa . Ciò spiega il suo atteggiamento nei confronti dei movimenti rivoluzionari che agitavano l'Italia; da un lato li temeva ed osteggiava e dall'altro li lusingava nella speranza di potere volgere la loro azione a vantaggio dei propri interessi personali.Avvicinato da Menotti, inizialmente Francesco IV non reagì al progetto rivoluzionario: forse c'erano accordi precisi fra i due tramite anche un altro liberale, l'avvocato Enrico Misley, frequentatore abituale della corte ducale.Non si capisce altrimenti perché Francesco IV, che conosceva a fondo Menotti, non lo avesse fatto subito arrestare come aveva fatto nel 1820 con altri carbonari, o presunti tali, processati e poi condannati. Nel gennaio del 1831 Menotti organizzò nei minimi dettagli la sollevazione. Il 3 febbraio, dopo aver raccolto le armi, radunò una quarantina di congiurati nella propria abitazione, poco distante dal Palazzo Ducale, per organizzare la rivolta.Francesco IV, tuttavia, con un brusco voltafaccia certamente impostogli dal governo austriaco, decise di ritirare il suo appoggio alla causa menottiana ed anzi chiese l'intervento restauratore della Santa Alleanza. Il duca fece circondare dalle sue guardie la casa; i congiurati cercarono di fuggire, alcuni ci riuscirono, altri no e fra questi Ciro Menotti, che, saltato da una finestra nel giardino retrostante la casa, rimase ferito e fu catturato e imprigionato.Il Duca, impaurito dai disordini che stavano scoppiando anche a Bologna, si rifugiò a Mantova, portando con sé Menotti. Fallite le insurrezioni il duca, rientrò a Modena, sempre portandosi dietro il Menotti prigioniero.Due mesi dopo fece celebrare il processo che si concluse con la condanna a morte mediante impiccagione. La sentenza venne eseguita nella Cittadella, assieme a quella di Vincenzo Borelli, anche lui facente parte del gruppo di arrestati la notte del 3 febbraio e condannato a morte. Menotti passò la notte prima dell'esecuzione (23 maggio 1831) con un sacerdote al quale consegnò una nobilissima lettera per la moglie.Oggi al n°civico 90 ,di Corso Canal Grande, ove Menotti abitava, è posta una lapide. E non deve passare inosservato il monumento, voluto dalla comunità modenese e realizzato dallo scultore Cesare Sighinolfi. Fu eretto nel 1879 proprio di fronte all'ingresso del palazzo Ducale. Il patriota è ritratto con lo sguardo rivolto verso la stanza dove venne firmata la sua condanna a morte, che era, al tempo dei duchi, il centro del potere.Recentemente è stato restaurato anche il ceppo dove Menotti e Borelli vennero giustiziati tramite impiccagione. L'opera, ubicata in Piazza I Maggio, in pietra nuda, riprende alcuni scalini del patibolo, e tutto intorno faretti con luci bianco-rosso e verde, illuminano la scena. Ciro Menotti è sepolto nella tomba di famiglia nel cimitero di Spezzano di Modena.
mercoledì 30 marzo 2016
Papa Mastai Ferretti
Papa Mastai Ferretti si spense il 7 febbraio 1878, all'età di ottantacinque anni. Il suo pontificato, durato quasi trentadue anni, è stato il più lungo nella storia della Chiesa e, per molti aspetti, il più controverso. Pio IX fu infatti molto amato, ma anche molto odiato; e il sentimento dei romani verso di lui restò a lungo diviso.Quando la salma del pontefice fu traslata nella basilica di San Lorenzo in Campo Verano, nel 1881, si verificarono gravi incidenti nonostante il trasporto fosse avvenuto, per precauzione, di notte, previo accordo segreto con il governo.Di contro, nella capitale anno dopo anno si intensificarono i pellegrinaggi dei fedeli, alimentati anche, dopo il 1870, dal culto del papa «prigioniero» e dalla perdita della sovranità territoriale.Al di là dei sentimenti e delle passioni estreme, il nodo irrisolto stava soprattutto nel «voltafaccia», o «tradimento» di Pio IX, come era parso alla maggioranza dell'opinione patriottica italiana.Chi si è occupato di Pio IX e della storia di quegli anni ha fornito varie spiegazioni del supposto «tradimento», concordando quasi sempre sull'ipotesi dell'equivoco; un equivoco in cui caddero anzitutto i cattolici liberali, ma che Pio IX in parte alimentò, non sapendo o non volendo disfarsi del mito creatosi sulla sua persona.Ma appunto l'equivoco, così come la rigida opposizione di Pio IX di fronte al nuovo Stato, risulterebbero difficili da spiegare senza tener conto del temperamento e della personalità del pontefice: un pontefice dotato di un forte fascino – sottolinea Giacomo Martina, biografo di Pio IX –, ma segnato da una forte emotività, accresciuta dai disturbi giovanili; un pontefice fermissimo nella difesa del potere temporale e degli interessi religiosi, ma assolutamente irresoluto in politica; severo e intransigente, dunque, ma al tempo stesso insicuro; certamente consapevole, nell'ultimo periodo di vita, delle trasformazioni avvenute durante il suo lungo pontificato: «Tutto è cambiato attorno a me – diceva –, il mio sistema e la mia politica hanno fatto il loro tempo, ma io sono troppo vecchio per mutare indirizzo: sarà l'opera del mio successore».D'altra parte il giudizio più immediatamente storico-politico – connesso all'immagine di un papa comunque ostile alla causa italiana – ha talvolta fatto passare in secondo piano il richiamo agli aspetti legati alla vita interiore del pontefice: la spiritualità semplice e profonda, la fama di santità di cui godette presso le persone a lui più vicine, la difesa della moralità. Soprattutto, la devozione profondissima per Maria, come ricordò Giovanni Paolo II nell'omelia del 3 settembre 2000, in Piazza San Pietro a Roma, mentre solennemente lo proclamava beato.
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