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domenica 25 dicembre 2016

LA LUNGA STRADA ITALIANA VERSO IL 1861


  • Il Risorgimento è il periodo della storia d'Italia in cui la nostra nazione italiana conseguì l'unità nazionale, riunendo in un solo nuovo Stato - il Regno d'Italia - tutti i precedenti Stati preunitari.Nel cosiddetto biennio delle riforme (1846-1848), dopo il fallimento dei moti rivoluzionari mazziniani,nascono i progetti politici di liberali come Massimo d'Azeglio e Vincenzo Gioberti. Gli anni 1847-1848, definiti la "Primavera dei popoli", videro lo sviluppo di vari movimenti rivoluzionari. In Italia fu decisiva la decisione del Regno di Sardegna di farsi promotore dell'unità italiana.Nominato presidente del Consiglio dei ministri nel 1852, Cavour poté mettere mano alla realizzazione del suo progetto politico per l'indipendenza italiana. Egli sosteneva che solo il Piemonte poteva realizzarla, perché non era sottomesso all' Austria (come invece erano i Borboni di Napoli, il granduca di Toscana, i duchi di Modena e di Parma); solo il Piemonte, inoltre, poteva garantire alle monarchie europee che l'Italia non si sarebbe spinta troppo in là, verso ideologie democratiche e radicali.

martedì 13 dicembre 2016

I movimenti politici » Il socialismo risorgimentale

 Il socialismo risorgimentale, di cui Giuseppe Ferrari e Carlo Pisacane possono essere considerati i principali esponenti, non rappresentò una vera e propria corrente politica, ma piuttosto un insieme di posizioni e di contributi teorici maturati all'interno della democrazia italiana, in seguito alla fallita rivoluzione del 1848. La sconfitta del 1848 produsse infatti una riflessione critica all'interno dello schieramento democratico, che si divise sulla valutazione da dare della sconfitta. Le divisioni riguardavano, in realtà, non soltanto i motivi che l'avevano determinata, ma il problema stesso della «rivoluzione italiana» e della strategia da seguire nell'immediato futuro.Mentre Mazzini riteneva che la linea e il programma d'azione non dovessero essere modificati, vi era chi, in disaccordo con lui, avrebbe voluto collegare la rivoluzione politica a una rivoluzione sociale, come condizione indispensabile per la vittoria. I contributi più ampi e articolati provennero da Giuseppe Ferrari e da Carlo Pisacane i quali, attraverso i loro scritti, ripensarono il problema della «rivoluzione italiana», prospettandone, appunto, la soluzione in chiave socialista.Della democrazia mazziniana Ferrari criticava soprattutto la priorità che la questione dell'indipendenza aveva avuto su quella della libertà. Al contrario, secondo Ferrari, la rivoluzione doveva mirare anzitutto alla libertà. Nei suoi scritti (La Federazione repubblicana e Filosofia della rivoluzione, pubblicati entrambi nel 1851) sosteneva come fosse necessario, per l'Italia, tentare contemporaneamente due rivoluzioni, l'una sul terreno politico e l'altra su quello sociale.La prima avrebbe dovuto liberare il popolo dal dominio straniero e dalle forze della conservazione (che Ferrari individuava nel papato e nelle monarchie); la seconda avrebbe dovuto realizzare un sistema di limitazione della proprietà privata, attraverso l'abolizione dell'eredità perché fonte di ineguaglianza.Per il raggiungimento di tali obiettivi auspicava l'alleanza con la Francia rivoluzionaria e teorizzava la nascita di un partito sociale italiano in grado di sottrarre l'iniziativa politica al mazzinianesimo e di coinvolgere nella lotta le masse popolari.Posizioni analoghe esprimeva Carlo Pisacane nel saggio sulla Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-1849, pubblicato anch'esso nel 1851. Per Pisacane il socialismo non costituiva una generica aspirazione, ma il contenuto che avrebbe dovuto assumere la rivoluzione italiana, nonché la mèta verso cui tendeva il progresso europeo. Anche Pisacane, come Ferrari, muoveva da un atteggiamento critico nei confronti di Mazzini, del quale non condivideva la visione puramente politica della rivoluzione, non in grado di mobilitare le classi popolari.A tal fine auspicava la costituzione di un partito socialista rivoluzionario che avrebbe dovuto realizzare, con l'appoggio delle masse, soprattutto contadine, una rivoluzione di tipo socialista, con lo scopo principale della ridistribuzione delle terre agli stessi contadini.A tali proposte non seguì da parte di Pisacane alcuna concreta iniziativa politica. Nonostante le riserve sul piano teorico, continuò anzi a collaborare con Mazzini, fino alla spedizione di Sapri (1857) in cui trovò la morte.Le idee di Ferrari e di Pisacane costituirono comunque una premessa importante, sulla quale anni dopo il nascente movimento internazionalista, anarchico e poi socialista avrebbe innestato la sua propaganda e la sua diffusione tra le masse italiane.

lunedì 28 novembre 2016

Palazzo Moriggia

Nato nel 1885, dal 1951 il museo ha sede nel settecentesco palazzo Moriggia, progettato nel 1775 da Giuseppe Piermarini a ridosso del vasto complesso di Brera. Già sede, in epoca napoleonica, del Ministero degli Esteri e, in seguito, del Ministero della Guerra, il palazzo, passato nel 1900 alla famiglia De Marchi, fu donato al Comune di Milano dalla moglie del celebre naturalista Marco De Marchi e in quell'occasione destinato a sede musealeAttraverso un articolato insieme di materiali composti da stampe, dipinti, sculture, disegni, armi e cimeli, le collezioni illustrano il periodo della storia italiana compreso tra la prima campagna di Napoleone Bonaparte in Italia (1796) e l'annessione di Roma al Regno d'Italia (1870). Il percorso espositivo è ordinato cronologicamente e si snoda attraverso quindici sale tematiche a cui si aggiungono due sale destinate alle esposizioni temporanee. L'ultimo allestimento risale al 1998 quando, mantenendo intatta la sequenza cronologica, furono ripensate le strutture espositive permanenti, destinate ai nuclei salienti delle collezioni, e in particolare i cimeli dell'incoronazione di Napoleone in Italia (il manto verde e argento e le preziose insegne regali), lo stendardo della Legione Lombarda Cacciatori a cavallo, il primo Tricolore italiano, per fare solo qualche esempio. In questa occasione sono stati riprogettati il sistema di illuminazione e il corredo didascalico, e recuperato il retrostante «Giardinetto romantico». 

venerdì 18 novembre 2016

Museo Civico del Risorgimento

Nel 1884, nell'ambito dell'Esposizione nazionale di Torino, fu realizzata una mostra dedicata al Risorgimento nazionale, alla quale Bologna partecipò con numerosi oggetti e documenti. In quell'occasione, si iniziò a pensare alla istituzione di un Museo del Risorgimento nella città.Qualche anno dopo, all'interno della Esposizione Emiliana del 1888,  fu istituito un "Tempio del Risorgimento", che esponeva anche molte delle memorie già viste a Torino. L'esposizione ottenne un grande successo tanto che, alla sua chiusura, il Consiglio Comunale deliberò liistituzione di un Museo permanente, che venne inaugurato il 12 giugno 1893 in una sala al pian terreno del Museo Civico, con materiali in massima parte giunti attraverso donazioni.Come gli altri Musei del Risorgimento, anche quello di Bologna sorse con un duplice intento: da una parte educare il popolo - e particolarmente le giovani generazioni - agli ideali  patriottici, dall'altra favorire la ricerca storica sul recente passato e fornire strumenti per il lavoro degli studiosi; la sala espositiva del Museo fu destinata ad adempiere alla prima funzione, mentre la Biblioteca era rivolta prevalentemente agli studiosi.Nel 1915 ai Musei del Risorgimento venne affidato il compito di raccogliere documentazione di quella che veniva definita la "Quarta Guerra di Indipendenza". Analogamente, durante il fascismo, che si proponeva come prosecutore ideale del Risorgimento, vennero raccolti, sebbene con minore determinazione, materiali dell'impresa fiumana, delle guerre coloniali, della guerra di Spagna e della seconda Guerra Mondiale.Chiuso nel 1943, il Museo fu riaperto al pubblico nel 1954; il suo ambito di interesse si estese alla Resistenza, assumendo la nuova denominazione di "Museo civico del primo e secondo Risorgimento".Nel 1962 fu nuovamente chiuso. Nel 1975 venne di nuovo riaperto, con un diverso assetto espositivo: al "museo-sacrario", affastellato di reliquie, destinato a suscitare "commozione e reverenza" nel visitatore, si sostituì un Museo rivolto particolarmente alle scolaresche.Nel 1990 il Museo, affiancato dai depositi dei materiali museali, dalle strutture didattiche e dal laboratorio di restauro, venne trasferito alla nuova - ed attuale - sede di Casa Carducci. Nell'occasione, venne realizzato un nuovo percorso espositivo che partendo dalla Rivoluzione Francese giunge alla prima Guerra mondiale, tornando in tal modo alle origini, e stesso tempo alla denominazione di "Museo Civico del Risorgimento".