/**/ Associazione Culturale e Sportiva "Giuseppe Garibaldi": ELEONORA FONSECA PIMENTEL

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giovedì 29 settembre 2011

ELEONORA FONSECA PIMENTEL


Un'intellettuale tra rivoluzione e giornalismo
Una vita piena, vibrante, percorsa con passo fermo senza mai retrocedere, inseguendo ideali che la trasformarono da semplice donna intellettuale ad eroina della Rivoluzione Partenopea del 1799 e giornalista e direttrice di indiscusso talento. Così, in sintesi, si potrebbe riassumere la vita di Eleonora Fonseca Pimentel, personaggio del XVII secolo, la cui intelligenza ed estro rimangono nella storia.
A darle i natali nel 1752 fu Roma, dove nacque, in via di Ripetta, dai portoghesi Clemente e Caterina Lopez per poi trasferirsi nel 1760 a Napoli. Sotto la guida dello zio, l’abate Lopez, la futura rivoluzionaria studiò greco, latino, matematica, fisica, chimica, botanica, mineralogia, astronomia, economia e diritto pubblico. Studi che sarebbero sfociati in opere, traduzioni e dissertazioni in cui già faceva capolino la concezione dello Stato di Eleonora, con idee decisamente in controtendenza per l’epoca riguarda al suo fondamento e fine.Nel 1778 sposò un generale dell’esercito napoletano, Pasquale Tria De Solis. Ma il matrimonio fu presto rovinato dalla violenza del marito, il quale, tra l’altro, le procurò un aborto per percosse. Nel 1786 si arrivò così alla separazione.
Fino all’inizio circa della Rivoluzione Francese, Eleonora mantenne ottimi rapporti con i sovrani di Napoli. Da un lato, la poetessa componeva per loro poesie, odi e sonetti, dall’altro Ferdinando IV sapute le ristrettezze economiche della poetessa, legate alla separazione del marito, le aveva procurato un sussidio mensile, facendola figurare come bibliotecaria della regina Maria Carolina.
Ma con lo scoppio della rivoluzione francese, i re decisero di mutare la loro politica, mettendo un freno al movimento delle riforme e intraprendendo la via della reazione. Eleonora non chinò il capo ma, invece, si gettò nell’impegno politico per la libertà e il miglioramento delle condizioni di vita delle classi disagiate. Insomma, passò all’opposizione diventando una fervente giacobina, tanto è che arrivò al punto di introdurre durante un ricevimento a Corte alcune copie in italiano del testo della Costituzione approvato dall’Assemblea francese.Nel 1972, quando i francesi giunsero a Napoli con una flotta per ottenere il riconoscimento della Repubblica francese, Eleonora venne invitata tra gli ospiti e finì sui registri della polizia borbonica. Nel 1798 venne perquisita la sua abitazione, nella quale vennero rinvenute della copie dell’Encyclopèdie di Diderot, che ne causarono l’arresto. Nel 1799, anno della Rivoluzione Partenopea, i Lazzaroni insorsero e aprirono le porte della carceri dalle quali, insieme ai prigionieri politici, uscirono anche delinquenti comuni e prigionieri politici.
Riacquistata così la libertà, entrò, insieme ad altri giacobini, nel Comitato Centrale. Il Comitato decise di fare pressione sul generale Championnet perché affrettasse la sua avanzata su Napoli, anche per arrestare il dilagare dell’anarchia tra la plebe.Il 20 gennaio di quell’anno, la Pimentel, alla testa di molte donne, entrò nel castello di San Elmo. Due giorni dopo i patrioti piantarono l’albero della libertà e dichiararono decaduta la dinastia borbonica, proclamando la Repubblica Napoletana “sotto la protezione della grande nazione francese”.Ma a Fonseca Pimentel va anche il merito di aver creato un giornale portavoce ufficiale del Governo Provvisorio ma allo stesso tempo indipendente. Si trattava del ‘Monitore Napoletano’, giornale al centro della stampa democratico –giacobina – che ebbe vita breve, dal febbraio all’agosto 1799, ma intensa. Eleonora, anima del giornale, riuscì ad affiancare alla linea di sostegno al Governo anche una linea critica nei giudizi e propositiva.
Nei suoi articoli di fondo, traspariva la preoccupazione di coinvolgere le classi umili di Napoli e della campagna, fino ad allora avverse alla Repubblica. Proprio per questo esortava a fare dei periodici scritti in dialetto, cercando quel ponte linguistico che potesse avvicinare a loro.
Nel maggio del 1799 l’esercito francese si allontanò da Napoli per andare nell’Italia settentrionale. I patrioti rimasero in balia di se stessi. Sono quelli i giorni in cui dal Monitore Fonseca Pimentel esorta a non disperare e rivela il suo desiderio di realizzare l’unità d’Italia. Ma da lì a breve le truppe del Cardinale Ruffo, inviate dai Borbone, a riconquistare Napoli arrivarono alle porte della città. La giornalista si rifugiò a Sant’Elmo e finì nelle liste dei capitolati per i quali era garantito l’espatrio.
Con la fine della Repubblica venne arrestata e il 20 agosto venne impiccata con l’accusa di avere parlato e scritto contro il re violando la capitolazione. Prima di salire sul patibolo, sembra che la rivoluzionaria abbia bevuto il caffè e pronunciato il famoso verso di Virgilio: “"Forsan et haec olim meminisse juvabit" (Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo).
Sembra che il popolo abbia cercato, invano, di convincere la donna a gridare "Viva il re". Degli otto condannati, la Pimentel fu l'ultima e, prima di porgere il collo al boia, salutò i suoi compagni già morti. Il corpo della Pimentel fu sepolto, nei pressi del luogo dell'esecuzione in Piazza Mercato, nella chiesa di S. Maria di Costantinopoli, nella Sala del Capitolo Maggiore.
Ma, prima della sepoltura, il cadavere venne, per una giornata intera, lasciato penzoloni, a ludibrio del popolo. Fu questa l'ultima ed atroce offesa recata ad una delle donne più intelligenti, vive e colte del XVIII secolo.

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