/**/ Associazione Culturale e Sportiva "Giuseppe Garibaldi": GIULIA COLBERT FALLETTI DI BAROLO

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lunedì 26 settembre 2011

GIULIA COLBERT FALLETTI DI BAROLO



Il volto che a prima vista poteva sembrare scialbo, si accendeva però di vivida luce quando lei cominciava a parlare, e allora tutta la persona brillava per bellezza e grazia.
LA DONNA
A prima vista, donna non di una particolare bellezza. Il suo volto può apparire scialbo, ma quando comincia a parlare si accende di una vivida luce che fa splendere e brillare tutta la sua persona.
Il suo carattere è forte e determinato e grazie a queste sue peculiarità riesce ad avere successo nelle sue imprese.
Dopo la morte del marito, figura di riferimento e punto di forza della marchesa, un periodo di sofferenza, in cui le è molto vicina Silvio Pellico, è la causa di un ulteriore consolidamento della sua personalità.
Altra esperienza che tempra il suo animo sono i compiti svolti come novizia laica nella confraternita della misericordia.
NASCITA
Nasce nel castello di Maulévrier in Vandea il 27 Giugno 1785 da una famiglia aristocratica.
Sua madre, la contessa Anne-Marie de Quengo de Crenolle, era imparentata con Luigi XVI; suo padre, il marchese Edouard Colbert di Maulévrier, discendeva dal ministro del re Sole.
Due fratelli.
L’INFANZIA
Infanzia non facile poiché la madre muore che lei ha quattro anni il 14 Luglio 1789, il giorno della presa della Bastiglia. Per l’importante nome della casata e le strette parentele con la corte francese, molti componenti della sua famiglia sono giustiziati in piazza pubblicamente. Il padre capisce che l’unico modo di sfuggire alla sanguinosa rivolta popolare è di rifugiarsi in Olanda mettendo, così, in salvo i suoi tre figli.
Ritorneranno in patria solo quando Napoleone mutò le leggi rivoluzionarie
FORMAZIONE
La situazione politico-sociale francese sta cambiando ma il marchese Edouard non si adegua alle novità e impartisce ai figli un’educazione molto tradizionalista, così Giulia cresce secondo i principi della religione e della monarchia assolutista.
IL MATRIMONIO
Sotto indicazione del padre sposa nel 1807 il marchese piemontese Carlo Tancredi Falletti. Poiché il Piemonte in quel periodo era unito allo Stato francese, non ci furono difficoltà burocratiche. Si stabiliscono a Torino ma passano gran parte dell’anno a Parigi o in viaggio per l’Olanda, il Belgio e la Germania. Non hanno figli
I SUOI LAVORI
Dalla Pasqua del 1816 il suo interesse per i poveri, gli emarginati, i malati si sposta sulle carceri, in particolari sulla condizione dei carcerati. Dopo una visita alle carceri Torinesi decide di dedicarsi al recupero delle carcerate, in quanto tra maschi e femmine, chi soffriva di più della vita carceraria erano proprio le recluse.Tuttavia ella vuole fornire un aiuto che non sia visto dalle povere come una elemosina, quindi entra a far parte della Confraternita della Misericordia (organizzazione caritatevole con lo scopo di assistere le detenute). Subito inizia a stringere rapporti di amicizia con le carcerate e si intrattiene in lunghi discorsi con loro per capire meglio la loro condizione e escogitare strategie di recupero efficaci da proporre alle autorità cittadine. Il 10 Marzo 1821 scoppia la rivoluzione piemontese dei trenta giorni per portare sul trono di una Italia unita Vittorio Emanuele I, la marchesina rifiuta di fuggire col marito per assistere le “sue” detenute prevedendo che i sollevamenti avrebbero aperto le carceri. Così succede, ma le detenute anziché gettarsi perdutamente nelle strade le si stringono attorno.
La marchesina chiede al nuovo re Carlo Felice di accelerare i tempi di una riforma carceraria. Il sovrano le mette quindi a disposizione un castello, detto poi delle Sforzate, per iniziare tale riforma.
Queste carceri riescono a far sì che la detenzione non conducesse ad un ulteriore abbrutimento e consente il recupero sociale delle infelici, mettendole nelle condizioni di imparare un mestiere per rifarsi una vita.
RAPPORTI CON SILVIO PELLICO
Silvio Pellico viene graziato dall’Austria e torna in patria nel 1830.
Al suo ritorno corrisponde l’inizio della sua opera più famosa “Le mie prigioni”, una delle prime copie viene inviata alla marchesa Colbert.
Ella è molto commossa per come egli ha saputo descrivere le condizioni di vita dei carcerati tanto che trova in lui una persona con la quale condividere le sue esperienze nelle carceri da lei fondate.
Pellico, come la marchesa, è lasciato in disparte dalla società per le sue idee politiche.
Dopo varie lettere decide di incontrare personalmente la marchesa con la quale ha una piacevole discussione. Questo incontro è seguito da molti altri, quando Silvio comunica alla marchesa che un lavoro ben retribuito lo attende a Parigi, ella è molto turbata da questa sua decisione e gli propone una pensione annua per farlo restare a Torino e aiutarla nella rieducazione delle carcerate.
L’ultima invenzione di Giulia è il “Refugium Peccatorum”, un villino moderno senza cancelli o sbarre, aveva una biblioteca ed un’ottima cucina. Le rifugiate potevano andarsene quando volevano, ma nessuna lo faceva, perché per essere ammesse bisognava fare domanda e bisognava essere meritevole per restare in quel luogo. L’espulsione per demeriti è un deterrente talmente efficace che spinge le penitenti a migliorarsi di giorno in giorno per restare. Chi dopo una sufficiente permanenza decide di uscire è in grado di guadagnarsi con successo il vitto. Dopo la morte del marito, 4 settembre 1838, il loro legame si fa più forte, gli amici pensano ad un amore tra i due, ma il loro comportamento in pubblico non fornisce certezze.
LE SUE CARCERI
Le sue carceri erano edifici senza sbarre alle finestre dove vengono insegnati alle donne alcuni mestieri al fine di metterle nelle condizioni di potersi rifare una vita.
Le donne sono libere di andarsene, anche se questo non accadeva perché nessuno le aveva obbligate ad entrare in queste carceri, ma lo avevano chiesto loro.
La marchesa segue personalmente le sue carceri e stringe con le detenute forti rapporti di amicizia in quanto ella stessa si considera come una detenuta per essere meglio a contatto con questa realtà.
Nelle sue carceri non vigevano inutili severi regolamenti, perché questi aumentavano il dolore per la privazione della libertà e contribuivano a raggiungere gli obiettivi opposti a quelli che dovrebbe raggiungere un carcere, ovvero: amare e capire la necessità dell’ordine.
Bisogna prima guadagnare la fiducia delle carcerate, “far capire loro che le amiamo”, e poi avviare il recupero, altrimenti la carcerazione risulta fallimentare.
GIUDIZIO SUL QUARANTOTTO
Giulia sentiva la necessità di un cambiamento, ma non era d’accordo con le idee antireligiose e iconoclaste che animavano la maggioranza dei rivoluzionari. “Gli uomini dabbene”, che condurrebbero in modo migliore i moti del ’48 lasciano il posto a perversi, traditori di Carlo Alberto e Pio IX, smaniosi di innalzarsi sulle rovine altrui. Benché le cose continuino a precipitare ella spera in giusti cambiamenti. Giulia tuttavia, pur non sopportando le violenze antireligiose, crede fermamente nei grandi obiettivi della rivoluzione politica in atto.

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