/**/ Associazione Culturale e Sportiva "Giuseppe Garibaldi": Tommaso Salvini

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martedì 10 gennaio 2012

Tommaso Salvini


 Combatté come volontario nel 1849 agli ordini di Garibaldi per difendere la Repubblica Romana contro Pio IX, l’ultimo Papa Re. Sconfitto dai Francesi e costretto alla fuga, fu preso a Genova e imprigionato con Aurelio Saffi nel Lazzaretto della Foce. Una volta tornato libero, continuò a fare il patriota recitando Alfieri, Pellico, Shakespeare, gridando ad ogni chiusura di sipario «Viva l’Italia!». Al tempo del fervore guerresco era mazziniano, in seguito fu monarchico e quando morì (a Firenze il 31 dicembre 1915) era un placido borghese benestante rispettato da tutti e ormai lontano dal teatro.Attore, Salvini, era stato sempre. Era nato a Milano nel 1829 e come quasi tutti i suoi colleghi era figlio d'arte. Come gli altri, non essendo mai così stanziale da frequentare una scuola, rischiava di consegnarsi all’ignoranza suprema, che per alcuni culminava nell’analfabetismo. Lui fu diverso. Cominciò a recitare a 14 anni in famiglia. Interpretava Pasquino nelle Donne curiose di Goldoni. Entrato nel ’47 nella compagnia di Adelaide Ristori, grande riformatrice del teatro italiano prima della Duse, iniziò a meditare sul proprio mestiere, sul repertorio, su se stesso. Riuscì a trasformarsi in un attore nuovo, che prendeva un tempo infinito nella preparazione del personaggio. A causa di ciò non ebbe mai un repertorio vasto.Nell’Ottocento, quando sostavano a lungo in una città, gli attori avevano in tasca, pronti per l’uso, almeno una dozzina di spettacoli. Non Salvini. I suoi autori erano pochi ed elaboratissimi. In testa c’erano Alfieri e Shakespeare. Salvini fu fra i primissimi in Italia a riportare in vita il teatro shakespeariano: Macbeth, Re Lear, soprattutto Otello. Furono creazioni assolute con cui l’attore conquistò i palcoscenici inglesi, russi, americani, divenendone la star. Ascoltandolo, Konstantin S. Stanislavskij, creatore del famoso «metodo» che sarà poi ripreso dall’Actors Studio di Lee Strasberg, annotò: «Un poeta disse: “Bisogna creare per l’eternità, una volta per sempre!”. Salvini creò appunto così “per l’eternità”, una volta per sempre». Henry James scrisse di lui: «È essenzialmente un genio ricco, fecondo. Gli siamo dunque grati per ciò che ci ha offerto, soprattutto per Otello. Se scrutiamo l’orizzonte, non troveremo oggi nessun artista capace di darci una tale prova di potenza». In realtà, per Salvini il termine di paragone non era l’acquerello ma la scultura. I suoi personaggi erano plastici, potevi vederne le vene e lui era così convinto della propria grandezza che non ebbe pudore a dichiarare: «Potrei far piangere il pubblico leggendogli un menu».Ritrovarlo in questa mostra aperta fino al 3 aprile è sollevare un vecchio sipario. Salvini è lì, in scena, con il suo corpo poderoso e i baffoni risorgimentali, con le spade e i costumi, con il passaporto e i contratti firmati dai più celebri teatri del mondo. Sullo sfondo scorgiamo la civiltà teatrale di allora, i costumi della Ristori, i Garibaldini, l’epopea del sogno guerriero sovrapposto all’avventura dell’arte. Era Italia anche questa.


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