/**/ Associazione Culturale e Sportiva "Giuseppe Garibaldi": Antonietta De Pace

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domenica 20 dicembre 2009

Antonietta De Pace

Antonietta De Pace nacque il 2 febbraio 1818 a Gallipoli, in provincia di Lecce, da Gregorio, un banchiere napoletano, e da Luisa Rocci Cerasoli, una nobildonna d’origine spagnola i cui fratelli avevano partecipato attivamente alla Repubblica napoletana del 1799.

La sua educazione fu affidata allo zio paterno, il canonico e astronomo Antonio De Pace, che aveva fondato a Gallipoli, nel 1813, una vendita carbonara.
Ad otto anni Antonietta rimase orfana del padre, morto in circostanze misteriose, probabilmente avvelenato dal suo segretario particolare, che voleva impossessarsi del suo patrimonio. La vedova fu confinata nella villa di Camerelle, mentre Antonietta, insieme alle sorelle Chiara, Carlotta e Rosa, fu rinchiusa nel monastero delle clarisse di Gallipoli, la cui badessa apparteneva alla famiglia De Pace.
Delle quattro sorelle minorenni, private della legittima eredità, la più grande, Chiara sposò lo zio Stanislao De Pace, Carlotta morì tisica, Rosa sposò Epaminonda Valentino e condusse nella sua casa Antonietta. Patriota napoletano, figlio di Cristina Chiarizia, che si era distinta durante le vicende rivoluzionarie del 1799, collaboratore di Poerio, Conforti e Pepe, Epaminonda, tesseva le fila della corrispondenza politica tra Napoli e la Terra d’Otranto. Insieme al cognato, Antonietta entrò a far parte della Giovine Italia. "Svelta, intelligente, ardita e prudente insieme, dimenticò il mondo femminile, e tutta l’anima versò nel proposito di concorrere a liberare la patria dalla servitù" (B.Marciano). In quel periodo Antonietta fu una valida collaboratrice del Valentino, che nelle sue lunghe assenze la lasciava depositaria di ogni segreto; la giovane donna riceveva i corrieri da Lecce da Brindisi o da Taranto. Prese attivamente parte alla preparazione, in Terra d’Otranto, dei moti del 1848; il quindici maggio di quell’anno era a Napoli, dove, nelle barricate di via Toledo, il Valentino. combatté accanto a Settembrini. Arrestato insieme al duca Sigismondo Castromediano e ad altri patrioti salentini, Valentino morì in carcere a Lecce, a soli 38 anni. Dopo la fine prematura del cognato Antonietta lasciò Gallipoli per andare a vivere a Napoli con la sorella Rosa e i nipoti.
La sua prima preoccupazione fu quella di riannodare tutte le relazioni di Epaminonda, sia con i patrioti che erano ancora in libertà, sia con quelli prigionieri o in esilio. Per questo motivo la De Pace conobbe personalmente Antonietta Poerio, zia di Carlo e Alessandro, l’inglese Pandola, che aveva abbracciato la causa italiana, Raffaella Faucitano, moglie di Luigi Settembrini, Alina Perret, moglie di Filippo Agresti, la sorella di Antonio Leipnecher, Costanza, e Nicoletta Leanza, figlia del detenuto politico Luigi, che sarebbe stata processata nel 1854.
Inoltre Antonietta entrò in contatto con il console inglese Palmerston e stabilì collegamenti con l’ambasciata sarda, dove si procurava i giornali che si pubblicavano nello Stato sabaudo, come l’Opinione di Torino e il Corriere Mercantile di Genova. Collaborò con il comitato napoletano della Giovine Italia, presieduto dall’avvocato tarantino Nicola Mignogna e nel 1849 fondò un Circolo femminile, composto prevalentemente da donne di estrazione nobile o alto borghese, i cui parenti si trovavano nelle carceri borboniche. Antonietta seguì con attenzione anche la famosa causa "dei Quarantadue"; il compito delle donne era quello far da tramite tra i detenuti politici e i loro parenti, di far pervenire nelle carceri viveri e altri mezzi di sussistenza, lettere e informazioni politiche. Antonietta si recava personalmente al carcere di Procida. Dichiarandosi parente del detenuto Schiavone e fingendo un prossimo matrimonio con un altro recluso, Aniello Ventre, ottenne il permesso di occuparsi della loro biancheria, riuscendo in tal modo a ricevere dai patrioti in carcere importanti comunicazioni. Grazie all’aiuto di Luigi Sacco, cameriere sulle navi che navigavano periodicamente lungo la tratta Marsiglia – Genova – Napoli, la donna inviava le preziose informazioni a Nicotera, che si trovava a Genova; di lì queste giungevano a Lugano e poi a Londra dove risiedeva Mazzini. Tramite Antonietta Poerio, la De Pace teneva vive le relazioni con i condannati di Montesarchio e Montefusco, e con l’aiuto di Alina Agresti e della Settembrini, con i reclusi del carcere di Santo Stefano.
Oltre a dirigere il Circolo femminile, e il successivo Comitato politico femminile, attivo negli anni 1849-1855, Antonietta collaborò ad associazioni patriottiche meridionali quali l’Unità d’Italia (1848), la Setta carbonico - militare (1851), il Comitato segreto napoletano (1855), guidato da Mignogna, che propugnavano l’unificazione dei numerosi movimenti politici del Meridione sotto l’egida repubblicana. A causa della sua attività eversiva la donna era costretta a cambiare spesso abitazione, sia per non coinvolgere la sorella Rosa, sia per depistare la polizia borbonica. Lasciata la casa della sorella, si ritirò inizialmente nel convento di San Paolo in qualità di corista.
Nel 1854, per avere maggiore libertà di contatto con gli agenti della Giovine Italia, mostrando la necessità di "fare dei bagni", ottenne dalla superiora del convento il permesso di recarsi a casa di Caterina Valentino (sorella del defunto Epaminonda), che sosteneva le sue iniziative..
Lì fu arrestata il 26 agosto 1855 dalla polizia borbonica: pochi giorni prima era stato arrestato anche Nicola Mignogna, a causa del tradimento di Domenico Francesco Pierro, un infiltrato della polizia borbonica.
Al momento dell’arresto Antonietta "tolse dal petto due proclami di Mazzini, ne fece una pillola, poiché Mazzini usava la carta velina, e in faccia a loro li inghiottì"(B.Marciano), dicendo ai poliziotti che si trattava di un medicinale. Fu condotta al commissariato di polizia di Piazza Mercato, dove cominciava il fondaco del Carminiello tagliato dall’opera di Risanamento, che porta oggi il suo nome. Fu tenuta dal commissario Campagna, "fido servitore del dispotismo" (B. Marciano) in una stanzetta, per circa quindici giorni, senza potersi mai né distendere su un letto, né lavare, subendo interrogatori nel cuore della notte. Le accuse di cospirazione erano suffragate dal fatto che, pur avendo Antonietta distrutto la corrispondenza più pericolosa, nella sua cella del convento di San Paolo erano state rinvenute lettere che nel loro frasario facevano pensare a documenti politici cifrati, cosa che in effetti erano. Ma Antonietta fu sempre particolarmente abile nel sostenere gli interrogatori, tanto che non ne emersero prove vere e proprie delle sue attività cospirative. Uscita dal commissariato di Piazza Mercato, fu condotta nel carcere di S. Maria ad Agnone, retto dalle Suore di carità, dove fu reclusa per diciotto mesi; lasciò la prigione per recarsi alle udienze presso Castelcapuano per ben quarantasei volte.
Durante il lungo processo ebbe il solo privilegio di stare in una stanza da sola, mentre le altre detenute - prostitute, ladre, assassine - dormivano nei "cameroni". Antonietta era chiamata "la signorina", perché si trovava in carcere per "costituzione", ossia era una prigioniera di Stato (B.Marciano). L’accusa muoveva dalla convinzione dell’esistenza di una cospirazione repubblicana guidata dal Mazzini. I proclami sequestrati al Mignogna e le lettere di Antonietta erano il corpo del reato. La difesa era rappresentata da prestigiosi avvocati napoletani: Castriota, Longo, Lauria e Pessina. Nonostante le confessioni del traditore Pierro, Mignogna tacque e Antonietta seppe magistralmente difendersi dalle accuse della polizia.
Il procuratore generale Nicoletti aveva chiesto la condanna a morte per Antonietta, ma poiché la giuria si espresse a parità di voti, tre contro e tre a favore, la donna fu assolta. "L’incertezza e il dubbio erano penetrati nell’animo dei giudici, l’opinione pubblica dichiarava il processo un’infamia….sul governo cadde il discredito delle potenze estere e l’anno successivo l’Inghilterra e la Francia ritirarono i loro ambasciatori lasciando a Napoli semplici agenti consolari" ( B. Marciano). Il processo fece molto scalpore, perché l’imputato era una donna e, per giunta, appartenente all’alta borghesia. Vi partecipò sempre una gran folla, tra cui gli ambasciatori inglese, francese e della Stato sabaudo. Le corrispondenze dei giornali dell’epoca, tra cui l’Opinione di Torino, il Corriere Mercantile di Genova, il Journal des debats e il Times, erano tutte a favore dell’imputata.
Secondo la prassi giudiziaria dell’epoca Antonietta, libera, fu posta per un certo numero di anni sotto la tutela di un parente, il cugino Gennaro Rossi, barone di Capranica. Presso di lui, al numero 4 di Vico Storto Purgatorio ad Arco in Napoli, Antonietta visse fino al 1859, strettamente sorvegliata dalla polizia. Ma non abbandonò la sua attività di cospiratrice: fondò a Napoli un Comitato politico mazziniano, di cui facevano parte Antonietta Poerio, Raffaella Faucitano, e Alina Perret.
Sotto la guida di Antonietta, le donne, che si riunivano nella Villa Poerio in via San Nicola a Nilo, stabilirono nuovi contatti con il comitato mazziniano di Genova.
Nell’ottobre del 1858 Antonietta incontrò Beniamino Marciano, un giovane prete liberale di Striano, che era venuto ad abitare nello stesso edificio in cui risiedeva Antonietta. Tra i due nacque subito un intenso rapporto, sul piano sentimentale e politico; ma si sposarono solo nel 1876, quando Antonietta aveva già 58 anni. Beniamino divenne il segretario del comitato femminile; poi, insieme, si adoperarono per favorire l’impresa garibaldina. Quando, il 9 gennaio 1859, il Re Vittorio Emanuele II pronunziò le note parole "il nostro cuore non può rimanere insensibile al grido di dolore che giunge da ogni parte d’Italia…"Antonietta abbandonò ogni riserva e, lasciata la casa del cugino, si stabilì clandestinamente in via S. Giuseppe de Nudi, dove si raccoglievano sospettati e perseguitati politici. Per sfuggire alla polizia aveva studiato con cura le chiese napoletane dotate di una doppia uscita: entrata da una porta, usciva dall’altra! Si recava a casa della Poerio, dell’Agresti, al consolato sardo.
Divenne il tramite tra il Comitato napoletano e quello salernitano, che aveva sede nella casa dell’avvocato Nicola Ferretti. Lì giunse Garibaldi il 6 settembre 1860, con soli ventotto uomini. Il 7 settembre Garibaldi entrava trionfalmente a Napoli con i ventotto ufficiali e due donne, Emma Ferretti e Antonietta De Pace, vestita con i colori della bandiera italiana. A Beniamino Marciano fu affidato il comando ad interim della provincia di Salerno. Garibaldi affidò ad Antonietta la guida dell’ospedale del Gesù, mentre la direzione di tutti gli ospedali napoletani era affidata a Jessie White Mario. Garibaldi le assegnò, inoltre, una pensione di "venticinque ducati al mese pei danni e per le sofferenze patite per la causa della libertà" (B. Marciano).
Recatasi a Torino per i funerali di Cavour, Antonietta fu accolta con grandi onori dai patrioti meridionali che sedevano nel Parlamento italiano. negli anni successivi si batté per l’annessione di Roma al nuovo Stato, fondando a Napoli un Comitato di donne per Roma capitale, di cui facevano parte Alina Agresti, Luisa Papa, Enrichetta Di Lorenzo e Teodora Muller. Garibaldi scrisse al comitato napoletano, che gli aveva inviato del denaro "…Voi donne interpreti della divinità presso l’uomo molto già avete fatto per l’Italia, e molto ancora dovete operare per l’avvenire. Molto confido nelle donne di Napoli" (B. Marciano). Per la sua attività a favore dell’annessione di Roma, Antonietta fu arrestata dalla polizia pontificia, mentre in treno si recava da Napoli a Firenze, dove il Marciano dirigeva il giornale l’Italia. Antonietta doveva presentare al governo italiano una relazione circa la possibilità di organizzare una spedizione militare di volontari guidata da Nicotera, per penetrare nell’agro romano da Ceprano. Fu rilasciata per le proteste del governo sabaudo e grazie alla sua abilità nel distruggere le carte compromettenti che portava con sé.
Dopo un periodo di depressione, dovuto alle alterne vicende politiche, e alla morte del nipote Francesco Valentino, avvenuta in battaglia a Bezzecca, Antonietta riprese la sua abituale vitalità, quando, il 20 settembre 1870, i soldati italiani entrarono a Roma. Intanto a Napoli, il progressista Imbriani, eletto sindaco, promosse importanti riforme nella pubblica istruzione, a cui si dette un’impostazione laica. Ad Antonietta fu affidata l’ispezione delle scuole della sezione Avvocata.
Si dedicò così all’attività educativa insieme al marito, assessore alla Pubblica Istruzione di Napoli. La malattia di lui, il suicidio del cognato Peppino Marciano, nel 1881, la morte di Caterina Valentino, provocarono un nuovo esaurimento nervoso ad Antonietta, che per distrarsi iniziò a viaggiare. Visitò col marito Roma, Firenze, Torino e Milano e tornò a Gallipoli, dopo trentaquattro anni di assenza. Si stabilì per un lungo periodo a Castellammare di Stabia, dove Beniamino Marciano dirigeva l’"Ateneo"; poi si recò a Striano, paese natio del Marciano. Il 1° maggio 1894 il municipio di Striano deliberò di intitolare ai due eroi due strade del paese.Dopo essersi rifugiati in Puglia per sfuggire all’epidemia di colera del 1884, i due tornarono a stabilirsi a Napoli, a Piazza San Gaetano, dove era la sede dell’Istituto e del Convitto fondati dal Marciano. Antonietta si dedicò all’educazione dei fanciulli, che esortava dicendo: "noi abbiamo fatto l’Italia, voi dovete conservarla, lavorando a farla prospera e grande"(B.Marciano).
Racconta Beniamino Marciano che il 3 aprile 1893 Antonietta, costretta da tempo a letto da una forte bronchite, chiese di bere dello champagne, che fu reperito con difficoltà, perché era lunedì in albis; "trovato il vino ella mi disse volerlo bere nel bicchiere a calice e subito la contentai: ne bevve avidamente un primo e dopo un secondo bicchiere…Ma in quello stato in cui ella era il vino la eccitò soverchiamente e si dette a discorrere" (B. Marciano). Poi lui le chiese: " Antonietta, mi ami?". Lei sorrise e a stento si udì la risposta: "e me lo chiedi?" (F:Marcano). Furono le sue ultime parole: Antonietta morì la mattina del giorno successivo, a 76 anni.Ai suoi funerali parteciparono, con le fanciulle e le maestre delle scuole, le associazioni operaie, garibaldine e numerosi rappresentanti delle istituzioni. Il comune di Gallipoli chiese al Marciano il ritratto ad olio di Antonietta, dipinto dal Sogliano (ora esposto al Museo civico della città, accanto ai ritratti del nipote Francesco Valentino e di Antonio De Pace, zio di Antonietta ed insigne astronomo). Lo stesso municipio intitolò alla patriota una via cittadina. Nel 1959 le venne intitolato l’Istituto Professionale Femminile di Lecce. Silvio Spaventa le aveva detto, un giorno: "Signorina nei vostri costituti siete stata un uomo. Così molti uomini nei loro non si fossero dimostrati donne!" (B. Marciano).

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