/**/ Associazione Culturale e Sportiva "Giuseppe Garibaldi": Bronte

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domenica 20 dicembre 2009

Bronte


Prima che Garibaldi sbarcasse sul continente, in Sicilia si erano verificati vari tumulti di cui erano stati protagonisti i contadini senza terra. Fu necessario intervenire per ristabilire l’ordine, ma la repressione attuata a Bronte, nel catanese, dagli uomini inviati da Garibaldi fu particolarmente violenta. Ciò che avvenne a Bronte fu raccontato da Giovanni Verga nella novella “Libertà”. “Sciorinarono (comincia così la novella) dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stormo, e cominciarono a gridare in piazza: - Viva la libertà! - Come il mare in tempesta. La folla spumeggiava e ondeggiava davanti al casino dei galantuomini, davanti al Municipio, sugli scalini della chiesa: un mare di berrette bianche; le scuri e le falci che luccicavano. Poi irruppe in una stradicciuola. - A te prima, barone! che hai fatto nerbare la gente dai tuoi campieri! - Innanzi a tutti gli altri una strega, coi vecchi capelli irti sul capo, armata soltanto delle unghie. - A te, prete del diavolo! che ci hai succhiato l'anima! - A te, ricco epulone, che non puoi scappare nemmeno, tanto sei grasso del sangue del povero! - A te, sbirro! che hai fatto la giustizia solo per chi non aveva niente! - A te, guardaboschi! che hai venduto la tua carne e la carne del prossimo per due tarì al giorno! - E il sangue che fumava ed ubbriacava. Le falci, le mani, i cenci, i sassi, tutto rosso di sangue! - Ai galantuomini! Ai cappelli! Ammazza! ammazza! Addosso ai cappelli! - Don Antonio sgattaiolava a casa per le scorciatoie. Il primo colpo lo fece cascare colla faccia insanguinata contro il marciapiede. - Perché? perché mi ammazzate? - Anche tu! al diavolo! - Un monello sciancato raccattò il cappello bisunto e ci sputò dentro. - Abbasso i cappelli! Viva la libertà!”. La furia dei contadini che, in virtù del decreto di Garibaldi del 2 giugno 1860 ritenevano di potersi liberamente appropriare delle terre, anche delle terre dei cosiddetti galantuomini, si fece inarrestabile. La risposta di Garibaldi fu molto determinata e toccò a Nino Bixio eseguirne gli ordini. Dalla stessa novella: “Il generale (Nino Bixio) - fece portare della paglia nella chiesa, e mise a dormire i suoi ragazzi come un padre. La mattina, prima dell'alba, se non si levavano al suono della tromba, egli entrava nella chiesa a cavallo, sacramentando come un turco. Questo era l'uomo. E subito ordinò che glie ne fucilassero cinque o sei, Pippo, il nano, Pizzanello, i primi che capitarono. Il taglialegna, mentre lo facevano inginocchiare addosso al muro del cimitero, piangeva come un ragazzo, per certe parole che gli aveva dette sua madre, e pel grido che essa aveva cacciato quando glie lo strapparono dalle braccia. Da lontano, nelle viuzze più remote del paesetto, dietro gli usci, si udivano quelle schioppettate in fila come i mortaretti della festa. Dopo arrivarono i giudici per davvero, dei galantuomini cogli occhiali, arrampicati sulle mule, disfatti dal viaggio, che si lagnavano ancora dello strapazzo mentre interrogavano gli accusati nel refettorio del convento, seduti di fianco sulla scranna, e dicendo - ahi! - ogni volta che mutavano lato. Un processo lungo che non finiva più. I colpevoli li condussero in città, a piedi, incatenati a coppia, fra due file di soldati col moschetto pronto”. Che cosa rendeva diversa la situazione di Bronte rispetto a quella di tanti altri centri della Sicilia orientale, in particolare? Fra coloro che, a Bronte, detenevano terre demaniali che avrebbero dovuto essere distribuite ai contadini, c’erano gli eredi dell’ammiraglio inglese Orazio Nelson. Ad Orazio Nelson i Borboni avevano fatto omaggio di parte di terre del demanio come ricompensa dell’aiuto da lui offerto ai tempi della Repubblica partenopea del 1799. I contadini erano decisi a saldare i conti per tutte le usurpazioni del passato che, in molti casi, avevano finito col sottrarre loro un pezzo di terra da coltivare, da cui trarre un po’ di legna o un fascio di erba per gli animali. Ma in gioco c’era la necessità, per Garibaldi, di non perdere il sostegno internazionale di cui la sua impresa si era, fin lì, avvalsa. Il generale era consapevole che in alcuni ambienti dell’Europa moderata si temeva che il processo di unificazione dell’Italia potesse prendere una piega di stampo giacobino. Occorreva garantirsi l’appoggio dell’Inghilterra accogliendo ogni sollecitazione che arrivasse da Londra. La forte reazione di Garibaldi ai disordini scoppiati a Bronte va letta anche in questa luce.

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