/**/ Associazione Culturale e Sportiva "Giuseppe Garibaldi": Poesia

Visualizzazioni totali

sabato 19 dicembre 2009

Poesia




A Giuseppe Garibaldi

Il dittatore, solo, a la lugubre
schiera d'avanti, ravvolto e tacito
cavalca: la terra ed il cielo
squallidi, plumbei, freddi intorno.

Del suo cavallo la pésta udivasi
guazzar nel fango: dietro s'udivano
passi in cadenza, ed i sospiri
de' petti eroici ne la notte.

Ma da le zolle di strage livide,
ma da i cespugli di sangue roridi,
dovunque era un povero brano,
o madri italiche, de i cuor vostri,
saliano fiamme ch'astri parevano,
sorgeano voci ch'inni suonavano:
splendea Roma olimpica in fondo,
correa per l'aere un peana.

- Surse in Mentana l'onta de i secoli
dal triste amplesso di Pietro e Cesare:
tu hai, Garibaldi, in Mentana
su Pietro e Cesare posto il piede.

O d'Aspromonte ribelle splendido,
o di Mentana superbo vindice,
vieni e narra Palermo e Roma
in Capitolio a Camillo. -

Tale un'arcana voce di spiriti
correa solenne pe'l ciel d'Italia
quel dì che guairono i vili,
botoli timidi de la verga.

Oggi l'Italia t'adora. Invòcati
la nuova Roma novello Romolo:
tu ascendi, o divino: di morte
lunge i silenzii dal tuo capo.

Sopra il comune gorgo de l'anime
te rifulgente chiamano i secoli
a le altezze, al puro concilio
de i numi indigeti su la patria.

Tu ascendi. E Dante dice a Virgilio
"Mai non pensammo forma più nobile
d'eroe." Dice Livio, e sorride,
"E' de la storia,o poeti.

De la civile storia d'Italia
è quest'audacia tenace ligure,
che posa nel giusto, ed a l'alto
mira, e s'irradia ne l'ideale."

Gloria a te, padre. Nel torvo fremito
spira de l'Etna, spira ne'turbini
de l'alpe il tuo cor di leone
incontro a'barbari ed a' tiranni.

Splende il soave tuo cor nel cerulo
riso del mare del ciel de i floridi
maggi diffuso su le tombe
su' marmi memori de gli eroi."

(Giosuè Carducci)





La spigolatrice di Sapri

Eran trecento, eran giovani e forti,
e sono morti!

Me ne andavo al mattino a spigolare
quando ho visto una barca in mezzo al mare:
5 era una barca che andava a vapore,
e alzava una bandiera tricolore,
All'isola di Ponza si è fermata;
È poco e poi siè ritornata;
s'è ritornata ed è venuta a terra,
10 sceser con l'armi e a noi non fecer guerra.

Eran trecento...

Sceser con l'armi e a noi non fecer guerra;
ma s'inchinaron per baciar la terra.
Ad uno ad uno li guardai nel viso,
15 tutti avean una lagrima e un sorriso.
Li disser ladri usciti dalle tane
ma non portaron via nemmeno un pane.
E li sentii mandare un solo grido:
- Siam venuti a morir pel nostro lido.
20 Eran trecento...

Con gli occhi azzurri e coi capelli d'oro
un giovin camminava innanzi a loro.
Mi feci ardita, e, presol per la mano,
gli chiesi: - Dove vai, bel capitano?
25 Guardommi e mi rispose: - 0 mia sorella,
vado a morir per la mia patria bella.
Io mi sentii tremare tutto il core,
né potei dirgli: - V'aiuti 'l Signore!

Eran trecento...
30 Quel giorno mi scordai di spigolare
e dietro a loro mi misi ad andare:
due volte si scontrâr con li gendarmi
e l'una e l'altra gli spogliâr dell'armi.
Ma quando fûr della Certosa ai muri,
35 s'udirono a suonar trombe e tamburi;
e tra 'l fumo gli spari e le scintille
piombaron loro addosso più di mille.

Eran trecento...

Eran trecento e non voller fuggire,
40 parean tre mila e vollero morire;
ma vollero morte col ferro in mano
e avanti a loro correa sangue il piano:
fin che pugnar vid'io per lor pregai,
ma un tratto venni men, né più guardai:
45 io non vedeva pia fra mezzo a loro
quegli occhi azzurri e quei capelli d'oro.

Eran trecento, eran giovani e forti,
e sono morti!




5 maggio 1821

Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,

stette la spoglia immemore

orba di tanto spiro,

così percossa, attonita

la terra al nunzio sta,

muta pensando all'ultima

ora dell'uom fatale;

né sa quando una simile

orma di pie' mortale

la sua cruenta polvere

a calpestar verrà.

Lui folgorante in solio

vide il mio genio e tacque;

quando, con vece assidua,

cadde, risorse e giacque,

di mille voci al sònito

mista la sua non ha:

vergin di servo encomio

e di codardo oltraggio,

sorge or commosso al sùbito

sparir di tanto raggio;

e scioglie all'urna un cantico

che forse non morrà.

Dall'Alpi alle Piramidi,

dal Manzanarre al Reno,

di quel securo il fulmine

tenea dietro al baleno;

scoppiò da Scilla al Tanai,

dall'uno all'altro mar.

Fu vera gloria? Ai posteri

l'ardua sentenza: nui

chiniam la fronte al Massimo

Fattor, che volle in lui

del creator suo spirito

più vasta orma stampar.

La procellosa e trepida

gioia d'un gran disegno,

l'ansia d'un cor che indocile

serve, pensando al regno;

e il giunge, e tiene un premio

ch'era follia sperar;

tutto ei provò: la gloria

maggior dopo il periglio,

la fuga e la vittoria,

la reggia e il tristo esiglio;

due volte nella polvere,

due volte sull'altar.

Ei si nomò: due secoli,

l'un contro l'altro armato,

sommessi a lui si volsero,

come aspettando il fato;

ei fe' silenzio, ed arbitro

s'assise in mezzo a lor.

E sparve, e i dì nell'ozio

chiuse in sì breve sponda,

segno d'immensa invidia

e di pietà profonda,

d'inestinguibil odio

e d'indomato amor.

Come sul capo al naufrago

l'onda s'avvolve e pesa,

l'onda su cui del misero,

alta pur dianzi e tesa,

scorrea la vista a scernere

prode remote invan;

tal su quell'alma il cumulo

delle memorie scese.

Oh quante volte ai posteri

narrar se stesso imprese,

e sull'eterne pagine

cadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacito

morir d'un giorno inerte,

chinati i rai fulminei,

le braccia al sen conserte,

stette, e dei dì che furono

l'assalse il sovvenir!

E ripensò le mobili

tende, e i percossi valli,

e il lampo de' manipoli,

e l'onda dei cavalli,

e il concitato imperio

e il celere ubbidir.

Ahi! forse a tanto strazio

cadde lo spirto anelo,

e disperò; ma valida

venne una man dal cielo,

e in più spirabil aere

pietosa il trasportò;

e l'avvïò, pei floridi

sentier della speranza,

ai campi eterni, al premio

che i desideri avanza,

dov'è silenzio e tenebre

la gloria che passò.

Bella Immortal! benefica

Fede ai trïonfi avvezza!

Scrivi ancor questo, allegrati;

ché più superba altezza

al disonor del Gòlgota

giammai non si chinò.

Tu dalle stanche ceneri

sperdi ogni ria parola:

il Dio che atterra e suscita,

che affanna e che consola,

sulla deserta coltrice

accanto a lui posò.

Nessun commento:

Posta un commento