Il dittatore di Modena”: così nel 1916 lo storico Giovanni Sforza ricorda la figura di Biagio Nardi, riferendosi al ruolo da lui svolto nella rivoluzione avvenuta nel Ducato nel 1831. Il suo nome è indissolubilmente legato a quello del nipote, Anacarsi: i due rappresentano la più nota espressione del contributo dato dalla gente di Lunigiana al Risorgimento italiano.
I Nardi sono figli del piccolo borgo di Apella, nell’alta valle del Taverone: la terra è quella di Lunigiana, ma il dominio è tutto modenese, Ducato che ha nel Comunello di Varano la sua testa di ponte protesa verso il mar Tirreno. Biagio, che nasce nel 1768, è un ex sacerdote che a Modena, dopo gli studi in legge, intraprende con successo la carriera forense e notarile. Professionista stimato, politicamente incline ad un liberalismo moderato, Biagio Nardi volle ben presto vicino a sé il nipote, Anacarsi (nel disegno), nato - anch’egli ad Apella - nel 1800.Nei giorni dei moti di Modena del 1831 ai quali è riferita la figura di Ciro Menotti, Biagio Nardi raccoglie la sfida contro il Duca e diviene per la prima volta personaggio pubblico.
Nonostante egli abbia successivamente minimizzato il proprio ruolo in uno scritto al figlio, l’avvocato Biagio Nardi è tra i protagonisti più in vista dei governi che si succedono a Modena nei giorni successivi la fuga di Francesco IV. Da molti rivoltosi era riconosciuto come “un capo”, fa parte dei Governi provvisori; in un primo momento lo si trova come Aggiunto, poi gli viene conferita la Dittatura: è in questa veste che chiama come suo Segretario il nipote Anacarsi.Sono questi dunque i giorni della “Dittatura dei Nardi” che dura lo spazio di due settimane, delineandosi come un Governo di transizione.Ciò non impedisce al Dittatore di prendere alcune decisioni importanti, come il ripristino di molte libertà, fra le quali la restituzione della piena capacità giuridica alle donne. Fonda anche “Il Monitore Modenese”, giornale rivoluzionario che, nel suo breve percorso, diffonde idee nazionali e liberali. Forse per il carattere troppo moderato, al Governo Nardi non fu tuttavia possibile ottenere la liberazione di Ciro Menotti. I giorni passano veloci, il Duca in breve si riorganizza e torna, forte delle truppe austriache; per il governo rivoluzionario non c’è scampo: Biagio e Anacarsi Nardi fuggono a Corfù.
Sull’isola l’ex dittatore vede scemare lo spirito “rivoluzionario” e si ritrova uomo, solo e lontano dalla famiglia rimasta in Italia. Tra zio e nipote, che avevano condiviso la stessa passione politica, si susseguono adesso le discussioni, spesso aspre: Biagio vuole in qualche modo frenare quelli che ritiene gli eccessi di Anacarsi, il quale tuttavia è determinato a compiere le proprie scelte.
Biagio muore nel 1837, esule, senza essere riuscito a tornare nella propria terra. Anacarsi è invece ormai deciso a proseguire nell’impegno e si unisce ai fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, ai quali offre la casa e la vita. Nel 1844 fa parte infatti della spedizione contro i Borboni: nel sanguinoso scontro il piccolo gruppo di patrioti ha la peggio. Il 25 luglio Anacarsi Nardi viene fucilato insieme agli altri prigionieri nel vallone di Rovito, non lontano da Cosenza. Le sue spoglie, rinvenute nei sotterranei della basilica della città calabrese sono traslate a Licciana il 2 ottobre 1910 nel corso di una solenne cerimonia; a lui è dedicato il monumento di marmo nella piazza del Comune che lega il proprio nome a quello dei Nardi.
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