Già il 27 marzo 1861, nove anni prima della breccia di Porta Pia, il parlamento italiano proclama Roma capitale d’Italia, la sua annessione assieme a quella del territorio laziale, non appare però semplice. Pio IX è ovviamente tutt’altro che intenzionato a cedere ciò che gli resta del potere temporale, e la Francia di Napoleone III si era da tempo fatta garante dell’integrità dello Stato Pontificio.
Lo stato italiano temporeggia e aspetta di aver condotto le necessarie manovre politiche affinché l’impresa non scateni interventi stranieri, Garibaldi e i suoi volontari non fanno troppi calcoli e partono a testa bassa, senza tenere conto che la presa di Roma, senza aver preparato il terreno, avrebbe potuto scatenare tensioni, o addirittura la guerra, con altri stati europei, prima tra tuttila Francia.
Garibald i procede, e il 27 giugno 1862, da Caprera, fa rotta per la Sicilia dove tiene discorsi infuocati e, sollecitato dai volontari che gli si accodano, decide prendere il mare per la Calabria. Non è ancora ben chiaro se Garibaldi, alla partenza da Caprera, aveva già in mente di attaccare lo Stato Pontificio, certo è che il clima interventista trovato in Sicilia lo convince, se ce n’era bisogno, a ripetere l’impresa dei mille. Con disappunto delle autorità regie, in Sicilia, nessuno fa nulla per placare gli animi scatenati dal generale e dai volontari più convinti, anche il passaggio alla Calabria non viene efficacemente contrastato dalla marina di Vittorio Emanuele. Tali episodi creano degli equivoci su cui molta storiografia continua a lavorare, molti pensano che lo stato appoggiò tacitamente Garibaldi, salvo sconfessarlo se gli eventi avrebbero preso pieghe inaspettate; altri affermano semplicemente che le autorità non ebbero l’audacia per arginare l’eroe. Ma le alte cariche dello stato, invece, agiscono relativamente in fretta. Vittorio Emanuele sconfessa l’impresa già il 3 agosto, il 15 agosto, il mezzogiorno continentale è messo in stato d’assedio. La marina è allertata di fermare Garibaldi, ma i capitani delle vedette dicono di non aver intercettato le navi delle camice rosse, versione che non combacia con le memorie di Garibaldi che il 25 agosto sbarca in Calabria. A questo punto o si crede alle teorie “complottiste”, o si crede che molti dei comandi locali, comandanti della Marina compresi, non se la sentirono di fermare l’uomo in cui tutti vedevano l’eroe nazionale per eccellenza.
Garibaldi, sbarcato tra Melito e Capo dell'Armi, si mette in marcia verso i domini della chiesa, ma a questo punto, il rischio di intervento delle truppe francesi e di un allargamento dell’influenza di questo stato nelle vicende italiane, era eccessivo. Le truppe regolari italiane, guidate da Pallavicini, vengono mandate e intercettare i volontari, cosa che accade il 29 agosto sull’orlo di un bosco che dominava l’area a pochi chilometri da Gambarie, nel territorio di Sant'Eufemia d'Aspromonte. I bersaglieri avanzano sparando, Garibaldi da ordine di non rispondere: “sono fratelli”, pare gridasse ai sui, ma alcuni uomini di Menotti mossero all’assalto e si accese un breve scontro che finì quando Garibaldi, in piedi allo scoperto e in mezzo alle due linee, fu centrato da due colpi, uno all’anca e uno al piede sinistri. Garibaldi fu catturato e il suo piano sventato, l’eco internazionale della vicenda fu fortissima,100 000 a persone a Londra si radunarono ad Hyde Park per manifestare la loro solidarietà. Lord Palmerston offrì un letto speciale per la convalescenza dell'eroe. I repubblicani attaccavano la monarchia accusandola di aver rotto il tacito accordo che li teneva in tregua, eppure, un lato positivo nella vicenda era maturato, una convenzione del ‘64 con i francesi, impegnava l’Italia a proteggere lo stato pontificio e la Francia a lasciare tale stato entro due anni, l’obiettivo di far allontanare tutte le truppe straniere dal suolo italiano era raggiunto, la presa di Roma era solo rimandata.
Lo stato italiano temporeggia e aspetta di aver condotto le necessarie manovre politiche affinché l’impresa non scateni interventi stranieri, Garibaldi e i suoi volontari non fanno troppi calcoli e partono a testa bassa, senza tenere conto che la presa di Roma, senza aver preparato il terreno, avrebbe potuto scatenare tensioni, o addirittura la guerra, con altri stati europei, prima tra tutti
Garibald
Garibaldi, sbarcato tra Melito e Capo dell'Armi, si mette in marcia verso i domini della chiesa, ma a questo punto, il rischio di intervento delle truppe francesi e di un allargamento dell’influenza di questo stato nelle vicende italiane, era eccessivo. Le truppe regolari italiane, guidate da Pallavicini, vengono mandate e intercettare i volontari, cosa che accade il 29 agosto sull’orlo di un bosco che dominava l’area a pochi chilometri da Gambarie, nel territorio di Sant'Eufemia d'Aspromonte. I bersaglieri avanzano sparando, Garibaldi da ordine di non rispondere: “sono fratelli”, pare gridasse ai sui, ma alcuni uomini di Menotti mossero all’assalto e si accese un breve scontro che finì quando Garibaldi, in piedi allo scoperto e in mezzo alle due linee, fu centrato da due colpi, uno all’anca e uno al piede sinistri. Garibaldi fu catturato e il suo piano sventato, l’eco internazionale della vicenda fu fortissima,
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